Dino Lopardo è un attore e drammaturgo. Negli ultimi anni ha creato e portato in scena per il palcoscenici italiani il suo spettacolo “Trapanaterra“, “una ricerca profonda sulla realtà del mezzogiorno intesa come un costante ossimoro”, come ci spiega Dino durante l’intervista. Ascoltiamolo…
Ciao Dino, innanzitutto potresti presentarti in poche parole ai nostri lettori?
Sono un attore e drammaturgo Lucano. Mi sono formato come attore nel 2013 presso l’AIAD – Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Quirino; successivamente alla Q Academy teatro Quirinetta diretta da Alvaro Piccardi. Contemporaneamente mi sono laureato con una tesi sul radiodramma ed Eduardo De Filippo in televisione. Nel 2015 mi sono specializzato in sceneggiatura televisiva/cinematografica e drammaturgia presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Appartengo alla famosa schiera degli under 35 ahahah.
Oggi il tema dell’immigrazione è molto sentito e di questo parli nel tuo spettacolo “Trapanaterra”, quali significati vuoi veicolare con la tua opera?
Trapanaterra è una ricerca profonda sulla realtà del mezzogiorno intesa come un costante ossimoro; è un viaggio di rimpatrio, il resoconto di una famiglia del Sud distrutta da un destino ineluttabile. Lavoro, corruzione, potere, tradizione, familismo amorale, abbandono e identità culturale sono gli elementi che fanno continuamente staffetta nel testo.
Due i personaggi, fratelli che si incontrano e scontrano continuamente. C’è chi è partito alla ricerca di un futuro migliore e chi è costretto a rimanere. Il fatto di dover fuggire e il fatto di dover restare, sono sostanzialmente cause di una condizione.
“L’essere rimasto, non è atto di debolezza né atto di coraggio, è un dato di fatto, una condizione, ma anche l’esperienza dolorosa e autentica dell’essere sempre fuori posto”.
Sostanzialmente in entrambi i casi si parla di sacrificio, sia per chi parte, sia per chi resta.
Oltre ad averlo ideato, sei anche in scena. Puoi parlarmi del personaggio che interpreti?
Il mio personaggio è colui che ritorna nella terra di origine. Tutto è partito da lì. È un clown, un sognatore, un illuso. Dopo aver vagato in lungo e largo è costretto a tornare in Basilicata perché ha scoperto di avere un male incurabile: La NOSTALGIA.
La NOSTALGIA è l’elemento trainante. È stata considerata la malattia e la follia degli emigrati e quindi del loro mondo d’origine. La parola racchiude in sé due elementi: il primo è il suffisso algìa, che indica un dolore, una sofferenza, la parte che precede il suffisso descrive la causa di quel dolore. Corrado Alvaro descrive la nostalgia come “del ritorno di uno che non se n’è mai andato”. Quando un soggetto ritorna per riallacciare il rapporto con le sue radici e scopre un luogo che vessa nel degrado totale che cosa accade?
Ha avuto il coraggio di scappare per costruirsi un futuro a differenza del fratello, il quale non ne ha mai avuto la forza e possibilità. Rit chiede un abbraccio dal fratello RES (interpretato da Mario Russo, autore anche delle musiche dello spettacolo), che rappresenta metaforicamente un dialogo vero, uno scambio umano e profondo. Viene rappresentato come una figura inquieta. È un eterno insoddisfatto.
Sono già state molte le date in cui hai potuto presentarlo, dove sarà possibile ancora vederlo?
Saremo in cartellone nella prossima stagione del Teatro Libero di Palermo e poi altre date in Italia per festival e rassegne varie. Seguiteci sulla nostra pagina TRAPANATERRA e MADIEL.
Qual è in generale la tua idea di teatro?
Teatro come artigianato puro. Io parto dal costruirmi gli oggetti di scena, la scenografia; con Mario Russo lavoriamo alle musiche originali utilizzando anche strumenti impensabili. In TRAPANATERRA suoniamo addirittura la scenografia fatta di tubi.
Fare il teatro per il PUBBLICO, non solo per gli operatori che devono contribuire alla famigerata ricorsa ai premi. Credo fermamente nel pubblico, quello vero. È a lui che bisogna puntare.
Per il futuro, hai mente qualche nuovo spettacolo?
Sto lavorando alla scrittura di tre nuovi lavori.
Il primo è CARILLON e le protagoniste sono… che bello… tutte donne; il secondo parte da un’idea di Elena Oliva che fa parte della compagnia MADIEL e si chiama ATTESA e l’ultimo è un monologo che sto meditando da diversi anni: DIALOGO COL DRONE.
Stefano Duranti Poccetti