Sergio Bertolino e gli “Enjoy the Void”

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Sergio Bertolino è nato con il blues, il soul e il rock and roll, ma a parte la musica nutre interesse anche per la letteratura, come per tutto ciò che riguarda la bellezza e sensibilità spirituale. Era partito con il progetto solista “Enjoy the Void”, che poi è diventato il nome della sua band. In questa intervista Sergio ci parla di questo e di altro…

Ciao Sergio, cosa diresti di te a un lettore che non ti conosce?

Ciao. Direi che ho 33 anni, sono di Reggio Calabria e amo la musica e la letteratura. Mi considero una persona riflessiva, sensibile e curiosa, che non riesce a star molto tempo senza far niente. Mi piace leggere e scrivere, in particolare poesie e canzoni. Sono interessato a tematiche filosofiche ed esistenziali, legate alla condizione umana. Sono anche attratto dal mistero, dal trascendente; la dimensione del Sacro mi ha sempre affascinato, per quanto non mi riconosca in nessuna religione. E ovviamente sono autore, cantante e tastierista degli Enjoy the Void.

Qual è la tua idea di musica? Con quali esempi ti sei formato?

Nasco musicalmente – grazie a mio padre – con il blues, il soul e il rock and roll. Mi ricordo che da bambino adoravo ascoltare Otis Redding e Ray Charles. Poi a 9 anni ho deciso di cominciare a studiare pianoforte dopo aver visto Great Balls of Fire!, un film basato sulla vita di Jerry Lee Lewis. La scoperta del rock ha letteralmente stravolto la mia adolescenza: band come i Doors, i Nirvana, i Queen, i Guns N’ Roses, ecc. Da lì non ho più smesso: ho sempre cercato nuovi artisti e lo faccio tuttora. Sono stati determinanti gli incontri con Frank Zappa, il progressive rock, l’elettronica, la scena indie e alternative dagli anni ’90 in poi. Oggi sono molto interessato alle contaminazioni fra l’elettronica e il rock.

Penso che la musica sia una cosa seria; non la ritengo un hobby, un passatempo, ma un mezzo di conoscenza e d’espressione. Grazie ad essa approfondisco aspetti di me e del mondo, sublimo dolori e paure, faccio autoterapia e mi metto alla prova creativamente. Senza dubbio l’arte è una delle cose più importanti per me, se non la più importante.

Enjoy-the-VoidPoi arrivi a “Enjoy the Void”, qual è la genesi del disco?

Ho cominciato a scrivere le prime canzoni del disco intorno al 2013, a Torino, col solo obiettivo di cimentarmi in qualcosa di nuovo: avevo voglia di dare una svolta al mio stile musicale, avvicinandomi a forme più essenziali e all’elettronica (mentre prima ero più attratto dal progressive, dalle sonorità anni ‘70). Poi ho continuato a comporre e ad arrangiare in Inghilterra, dove ho vissuto per più di un anno. Pian piano, canzone dopo canzone, mi sono accorto che stava venendo fuori un lavoro decisamente coerente, benché eclettico, un mosaico lirico e sonoro che sarebbe potuto sfociare in un disco. Per puro caso, durante un soggiorno di piacere a Sapri, la BAM! (bottega artistico-musicale) mi ha proposto d’incidere l’album. Ho accettato, anche perché l’ambiente era quello giusto; mi ci sono trovato subito bene. Abbiamo iniziato a registrare nel novembre 2015 e il lavoro è andato avanti per quasi 2 anni, nel corso dei quali i musicisti coinvolti si sono sempre più legati al progetto: è nata una bella amicizia, un feeling musicale importante, per cui abbiamo pensato di formare la band.

C’è un brano di questa raccolta che ti è più caro di altri?

Sinceramente no. I brani sono tutti diversi tra loro e non credo che si possano paragonare: ciascuno ha, infatti, una propria bellezza peculiare. Capita che ci sia un periodo in cui ascolto più volentieri alcuni pezzi rispetto ad altri, ma dipende dal momento; sono solo preferenze temporanee, destinate a cambiare. È inevitabile che io sia attaccato ad ogni brano dell’album. Non avrei mai inserito una canzone che non mi convincesse appieno.

Cosa vorresti che il pubblico percepisse da questo disco?

Anzitutto buona musica, una proposta particolare ed autentica, sia a livello musicale che testuale. Abbiamo provato a creare un sound tutto nostro. Quindi spero che siano apprezzate la personalità e la genuinità, e davvero mi auguro che il disco non venga ascoltato distrattamente, ma che si analizzino gli arrangiamenti, le liriche, perché al di là di una certa immediatezza c’è molto, molto di più.

Stefano Duranti Poccetti

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