Teatro Spazio Avirex Tertulliano di Milano, dal 10 al 27 maggio 2018
La Maria Brasca come dicono i lombardi mettendo davanti al nome quell’articolo come per dire “è quella, e nessun’altra” ma potrebbe anche chiamarsi (la) Francesca, (la) Giovanna, (la) Rachele, (la) Giuseppina e Tutte le Donne del mondo. Perché lei, operaia degli anni cinquanta nella periferia milanese, in quel periodo d’oro dell’Italia in cui le donne cominciavano a prendere coscienza della propria libertà ritrovata e dell’importanza che potevano avere nel mondo del lavoro, è però profondamente donna, e come tale portatrice delle mille (più una) sfaccettature tipiche, e forse anche prevedibili, della sua condizione femminile.
La Maria per Testori è emancipata, realistica, sfrontata, coraggiosa, vendicativa ma anche sognatrice, innamorata, generosa. Insomma cuore e testa vanno a braccetto, anche se il muscolo dell’amore prende il sopravvento, il più delle volte.
E la Maria, interpretata dalla brava e spumeggiante Gianna Coletti che rende il personaggio simpatico e pensieroso, melanconico e sorridente, dopo varie relazioni poco importanti, si lega a un bel ragazzo molto più giovane di lei, Romeo Camisasca impersonato da Stefano Annoni cui, pur sfrontato e aggressivo, si perdona tutto. Anche il fatto che se la intenda con un’altra (o altre). Normale, sembra dirci Testori, lui è più giovane, lei potrebbe essere sua madre, e purtroppo anche la realtà, la vita, quella vita là fuori ispiratrice della letteratura, del teatro, del cinema sembra dargli ragione.
Ma la Maria, venuta a conoscenza delle sue scappatelle, affronta il Romeo con coraggio e fierezza, tuttavia pronta a perdonarlo pur di tenerselo accanto. Chi non lo farebbe? 🙂
A fare da contraltare alla Maria c’è la sorella Enrica, Margò Volo, donna soggiogata dai doveri famigliari, che chiude un occhio, o meglio, entrambi, sulle corna del marito, autoritario e menefreghista, e la vediamo pulire casa tutto il giorno, avviluppata nella rassegnazione, nello spirito di sacrificio, nell’amore per i suoi figli, l’unica cosa per cui combatte e soffre.
La storia non finisce male, ma non sappiamo nemmeno se finisce bene. La risata della Maria/Gianna rimbomba nella sala, e non capiamo se è di gioia o un modo tutto femminile per celare la sua immensa tristezza, fragilità e solitudine.
Lo spettacolo diretto da Giuseppe Scordio ha un impianto semplice, forse un pochino troppo, e la storia ha un sapore retrodatato ma si segue volentieri, tanto più che è un testo scritto per i personaggi, per dare valore agli attori e ai loro ruoli, insomma è una prova attoriale qui andata a buon fine.
Daria D.