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La rivisitazione complessa ed enigmatica de “Il Capitale” di Karl Marx

Data:

Al Teatro Argentina di Roma, 14 e 16 giugno 2018

La stagione dello stabile di Roma s’è chiusa sotto il segno con cui s’era iniziato e che rappresenta attualmente uno dei due problemi al centro della politica sociale del nostro paese:il lavoro con molte aziende in crisi, mentre l’altro è la ripresa economica dà dei segnali incoraggianti,che toccherà al vicepremier Di Maio far decollare in pieno su entrambi i fronti. Nell’autunno passato la programmazione dell’Argentina s’aprì con la prima parte dello spettacolo ”Ritratto di una nazione-L’Italia al lavoro”, con i primi dieci pezzi dedicati alla metà delle regioni della nostra penisola,in cui i più suggestivi ed emotivamente toccanti furono quelli di M. Murgia sulla dignità del lavoro come donna delle pulizie nella base di Serra S. Quirico nell’Ogliastra con l’uranio impoverito e le sub emissioni nocive per i polmoni;il secondo di Ulderico Pesce sulle perdite di scorie petrolifere ugualmente tossiche a Viggiano. Prendendo la questione più in generale, all’origine come fonte di formazione di ricchezza o povertà con la dialettica denaro od impresa e merce-produzione. Il drammaturgo e regista Marco Lucchesi ha voluto farne un’operazione culturale e multimediale contando sull’apporto dei giovani attori diplomandi della scuola di perfezionamento del teatro,supportati da cantanti del conservatorio S. Cecilia di Roma per analizzare la sociologia del settore secondario economico finanziario ed il precariato, la mobilità e flessibilità dell’impiego da essa generato. Le maschere create dagli studenti del liceo artistico di via Ripetta ed i rumori di sottofondo delle fordiste, catene di montaggio delle fabbriche hanno arricchito l’esplicazione storico didascalica e ricostruttiva del testo che ha completato la conoscenza del letterato storico padre del” materialismo dialettico”e della”prassi proletaria”,che il film primaverile ci aveva fatto conoscere partendo dalla natia Treviri. Il lavoro speculare sul pilastro manualistico del filosofo economista tedesco del plus valore non ci ha convinto come strategica operazione teatrale in quanto il testo s’è smarrito per strada con eccessive contaminazioni dispersive,come il tris delle fioriture narrative,la poesia di Bob Dylan,cantata nel finale in inglese,la melodia partenopea, le note dell’estaba la madre, con il dolore delle donne de Plaza de Mayo di L. Bacalov, si sono inserite tra l’elucubrazioni marxiste facendone una contaminazione logorroica, frammentaria pure con annotazioni di Aristotele e Badiou.Insomma davvero un vangelo apocrifo laico in 24 scene su piani rialzati con una cascata di scarpe dorate. Ai pianoforti D. Poccia e S. Maggio.

Susanna Donatelli

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