Trieste, Civico Museo Revoltella, Galleria d’Arte Moderna Storie nell’Arte – percorsi teatrali tra vite di artisti
Si sta svolgendo al Museo Revoltella di Trieste la seconda edizione di “Storie nell’arte – percorsi teatrali tra vite di artisti”.
Il polittico realizzato quest’estate ha aggiunto, al successo ottenuto lo scorso anno da Arturo Nathan e Leonor Fini interpretati rispettivamente dagli attori Maurizio Zacchigna e Sara Alzetta e accompagnati al violino da Agnese Accurso su testi di Sabrina Morena l’uno e Corrado Premuda l’altro, due inediti di Stefano Dongetti e Marko Sosič, a loro volta dedicati a Vito Timmel e ad Anton Zoran Mušič.
Il progetto di Laura Forcessini prevede la collaborazione tra la produzione di Bonawentura/Teatro Miela e l’ospitalità del Civico Museo Revoltella in cui sono esposti, nelle sale situate al quinto piano della Galleria D’Arte Moderna, alcune opere dei protagonisti dei quattro spettacoli acquisite nel tempo anche grazie alle generose donazioni da parte di alcune famiglie triestine (come ad esempio gli Hausbrandt e i Malabotta).
Il pomeriggio del 13 luglio ha visto Maurizio Zacchigna e Agnese Accurso accogliere in modo informale il pubblico per farlo accomodare con calma di fronte e accanto alle opere di Arturo Nathan, opportunamente esposte accanto a quelle degli amici più intimi, reciprocamente legati da un sottotesto umano prima che dalla comune professione artistica (Carlo Sbisà in primis e poi Leonor Fini e Giorgio Carmelich) dando così la possibilità di cogliere al meglio l’essenza di un ambiente culturale che Manlio Malabotta, notaio e intellettuale, critico e collezionista d’arte, seppe così bene descrivere: “Città marittima formatasi alla svelta, Trieste, con elementi eterogenei, del nord e del sud, dell’oriente e dell’occidente. Conglomerato di nazionalità, che seppur all’esterno poco rilevanti, mantengono nell’intimo, anche incoscientemente, intatte le caratteristiche originarie”.
Trieste come luogo limite in cui in qualche modo ognuno è minoranza, spazio avulso da legami con qualsiasi centro, nodo strategico di una rete, ambiente necessario per comprendere mondi artistici italiani e stranieri, ideale creatore di commistioni tra universi lontani senza cadere o nemmeno indulgere nell’uso distorto di etichette stereotipate.
Con un’interessante e acuta drammatizzazione Sabrina Morena ha ritratto l’artista ricostruendone la profonda umanità da un materiale eterogeneo costituito da sue lettere spedite o ricevute, articoli apparsi in riviste di critica artistica, memorie di parenti, amici e colleghi inserendovi la magia di alcuni dei “Sonetti metafisici” composti da Nathan stesso quando a seguito delle leggi razziali del regime fascista gli fu impedita la possibilità di esporre ed egli si rivolse alla poesia per segnare in altro modo quel che avrebbe voluto esprimere sulla tela.
L’efficace interpretazione di Maurizio Zacchigna, sobria e priva di affettazioni, ha dato voce alla non semplice personalità di un uomo schivo, dotato di una sincera autonomia intellettuale, capace di trasfigurare con la propria arte la realtà elevando le inquietudini percepite verso una dimensione trascendente priva di connotazioni fideistiche e di conseguenza universale, nella quale le tradizioni di diversa natura e origine si ritrovino, distinte e allo stesso tempo unite.
Costretto nel 1940 al confino a Offida, nelle Marche, dopo l’8 settembre 1943 verrà trasferito dai nazisti nel campo di smistamento di Fossoli e da lì deportato a Bergen Belsen prima e poi a Biberach an der Riß dove morirà nel novembre 1944.
Giorgio De Chirico, nel 1945, lo descriverà come un uomo “intelligente, mite, giusto e buono, ucciso perché ebreo”. I due artisti furono e sono tuttora spesso accostati a causa del comune approccio metafisico, anche se si mantennero consapevolmente distanti grazie a una diversa intenzionalità, generatrice di percorsi essenzialmente molto diversi.
Il suo destino fu tragico e beffardo, nobilmente struggente, emblema di un’epoca satura di malvagità dalla quale cercò sempre di tenersi distante, maggiormente teso a discutere di pittura nelle numerosissime lettere scritte a Carlo Sbisà dal confino piuttosto che indulgere nell’autocommiserazione, o ad accettare un travestimento per evitare la deportazione in Germania.
Dopo il prologo musicale (Giulio Viozzi ed Eric Satie), il violino di Agnese Accurso ha accompagnato la lettura scenica sottolineando i momenti più intensi.
E una volta a casa, ripensandoci, si ha voglia di tornare per rivedere le opere, dopo aver lasciato decantare le parole ascoltate.
Paola Pini