Fino al 2 ottobre 2018 al Teatro Massimo Bellini di Catania
“Produsse grande fanatismo questa operetta nel pubblico napolitano, che non si mostrava mai sazio di udirla e riudirla; e furono tali e tanto le pratiche fatte presso il Ministro, sotto la cui dipendenza trovavasi il Collegio di Musica, acciocché permettesse la continuazione delle rappresentazioni, che l’Eccellentissimo, per accondiscendere ai desiderii del pubblico concesse che fosse ripetuta ogni domenica per tutto l’anno 1825”, così riportano le memorie in merito al successo riscosso dall’opera di esordio di Vincenzo Bellini, “Adelson e Salvini”, eseguita per la prima volta al teatrino del Collegio di Musica in San Sebastiano a Napoli. Il dramma semiserio, del quale si conservano due versioni: una come saggio del Conservatorio e l’altra come opera, il cui completamento venne affidato a Francesco Florimo, spopolò a metà dell’Ottocento per trovare in seguito scarsa fortuna. Ascoltarla oggi è indubbiamente un’opportunità unica, poiché, le due esecuzioni più recenti a Catania risalgono al 1985 e al 1992, quando al Massimo Bellini venne proposta con l’edizione critica di Domenico De Meo. Come mai è eseguita così di rado? La prima versione, basata su un manoscritto autografo dell’autore, conservato al Museo Civico Belliniano di Catania, presentava una partitura incompleta e di fatti fu grazie ad alcuni ritrovamenti nel Fondo Mascarello che si riuscirono a colmare molte lacune. Sta di fatto che, nonostante l’edizione critica di casa Ricordi l’ultima rappresentazione risale al 2016 quando l’opera fu portata in scena al teatro Pergolesi di Jesi nella co-produzione con il Bellini di Catania, la stessa edizione riproposta oggi nel tempio etneo della lirica.
LA MESSA IN SCENA Il libretto di Andrea Leone Tottola, ambientato nell’Irlanda del XVII secolo, racconta l’amore del pittore Salvini per la bella Nelly nonostante quest’ultima sia promessa sposa dell’amico, l’aristocratico Adelson. Al centro della vicenda diretta dal regista Roberto Recchia si pone dunque il dissidio interiore del giovane artista mentre gli altri personaggi appaiono sotto forma di presenze tendenti alla vita come fuorusciti dai numerosi quadri presenti in scena. A supportare questa convinzione contribuiscono i costumi di Catherine Buyse Dian, la cui particolarità si nota soprattutto nei colori tenui e nel fatto che dietro ne sono totalmente privi. Il bianco domina nella parte posteriore dei corsetti e delle gonne di Nelly e Fanny mentre i mantelli e i cappelli degli uomini sono come stinti, donando una collocazione fisica a figure che aleggiano tra la verità e la finzione. Una suggestione che viene ripresa anche sotto finale quando appare il quadro che li ritrae tutti insieme. La costante artistica, a rimarcare come protagonista indiscusso Salvini, la ritroviamo poi nella scenografia di Benito Leonori costituita da questi grandi dipinti che illuminati in modo strategico riescono ad animare la scena e nutrire il racconto. Sono prevalenti, nel primo atto, i soggetti femminili senza volto per fomentare l’ambiguo gioco amoroso mentre nella seconda parte campeggiano stampe en plen air, il tutto circondato da sipari di stoffa bianca con sprazzi di colore che ricordano i teli con i quali si coprono i quadri. Il contesto è dunque ben calibrato se non fosse che i protagonisti non riescono a emergere in tutta la loro tridimensionalità a eccezione del buon Bonifacio che con la sua parlata napoletana e il suo gesticolare popolaresco restituisce un certo colore all’insieme. Il Maestro Fabrizio Maria Carminati imposta la sua direzione in maniera leggiadra senza trasbordare nel suono restituendo l’essenza della composizione e dirigendo con grazia l’Orchestra del Bellini, ridotta per l’occasione, e la sezione maschile del Coro egregiamente diretto da Luigi Petrozziello e che si caratterizza per imponenza e qualità del suono. Resta vocalmente prezioso l’intero cast maschile: il Salvini di Francesco Castoro dalla voce squillante, ben proiettata e dal fraseggio articolato, il Lord Adelson di Carmelo Corrado Caruso dal timbro pastoso e nerboruto passando per il dignitoso Geronio di Oliver Purcher. È nel passaggio fra la recitazione e il canto che si perde enfasi, un neo che caratterizza anche la Nelly della catanese Josè Maria Monaco, impeccabile nella cavatina così come in alcuni pezzi d’assieme, e la Fanny di Lorena Scarlata meno brillante della sua antagonista. Affascinano meno la Madama Rivers di Kamelia Kader e lo Struley di Giuseppe De Luca sia per vocalità che per interpretazione. Bene il Bonifacio di Clemente Antonio Daliotti, nel cui sillabato rapido possiamo facilmente rintracciare rimandi rossiniani.
Laura Cavallaro