Presso il TIP Teatro, Lamezia Terme, il 28 dicembre 2018
Si scrive Icaro, si legge Edipo.
La storia è nota: da Icaro stesso a Minosse fino al Minotauro e Dedalo, i personaggi dell’epos classico della tragedia greca hanno intriso psicanalisi e gergo comune, invadendo l’immaginario con la storia dell’architetto che fu rinchiuso insieme al figlio nel suo stesso labirinto dal re padre del mostruoso essere umano con la testa di toro.
La drammaturgia di Colella si mette completamente al servizio della storia: che inizia con Icaro che si racconta, in prima persona e utilizzando solo esametri, immergendo il pubblico in una dimensione perturbante. È lui ma è altro da lui: parla di Icaro, eppure parla di noi, di qualcosa di noi che abbiamo dimenticato. O nascosto.
Sono le parole, quindi, ad essere il cuore pulsante di Icaro Caduto: una scrittura precisa, sottile, potente ed evocatrice, che si nutre di suggestioni e che restituisce allo spettatore geografie ed epoche lontane, terre arcaiche e misteriche.
La parola che si fa carne: dall’endecasillabo Colella passa con disinvoltura all’utilizzo dei dialetti meridionali (dal pugliese al siciliano), declinando anche la sua imponente fisicità alla duttilità di un racconto che è prima mitologico, poi poetico, poi straordinariamente umano.
E con un volo spericolato si passa allora dal labirinto di Minosse alle labirintiche deviazioni emotive del rapporto padre-figlio: è qui che lo spettacolo diretto da Enrico Messina prende derive stranianti, il mito viene destrutturato e riassemblato insieme agli elementi della fiaba fino a coincidere perfettamente con l’eterno conflitto genitoriale chiamando in causa Edipo, Freud e Lacan. Perché il complesso freudiano viene allo stesso tempo celebrato e superato allo stesso modo di Jacques Lacan: l’edipo diventa porta attraverso la quale il singolo individuo accede alla socialità, al processo di umanizzazione progressiva.
Nei 60’ totali Colella utilizza solo una corda e una pietra, ma ci immerge fino in fondo nel dramma completamente umano di un figlio alla disperata ricerca del senso di sé attraverso la risoluzione di un rapporto mai pacificato, perché mai compreso, con il padre: e la tensione emotiva è alta, la storia progredisce per accumulo, la catarsi finale -in pieno stile da tragedia classica- è fortissima. Proprio sul finale infatti le parole si fanno carne e la carne si fa emozione, quasi urlando per il dolore, quel dolore così sordo e asfissiante da potersene liberare solo con le lacrime.
E in un’architettura narrativa perfetta e concentrica (Icaro Caduto si apre e si chiude con un volo raccontato con endecasillabi in prosa), solo quando alla fine Icaro incontrerà il padre prima amato, poi dimenticato, alla fine lungamente cercato e ritrovato, riuscirà a trovare il senso di sé stesso: “cercavo me stesso ma trovavo sempre te”, e poi, alla fine “cercando lui, cercavo solo me stesso”.
Il percorso si è compiuto, il dolore si è placato: e Icaro (ri)trova finalmente il cielo, la libertà.
La pace.
GianLorenzo Franzì