Trieste, Teatro Miela. Giovedì 14 e venerdì 15 febbraio ore 20.30
Amleto appare crocifisso sulla soglia di uno striminzito teatrino. Sembra una marionetta dai fili tagliati.
Soffre, ma continua a sognare.
L’incipit di “Amleto take away” prende il via dall’immortale personaggio di William Shakespeare, dalla tragedia umana del giovane principe di Danimarca, ma ben presto si smarca per mescolarsi con l’esistenza del vero soggetto dello spettacolo.
L’Amleto contemporaneo è un giovane, figlio di un operaio impiegato all’Ilva di Taranto; fin da bambino vuole fare l’attore e, nonostante l’opposizione della famiglia e una malattia degenerativa che in adolescenza lo porta rapidamente alla cecità, andrà avanti nel suo intento.
Dalla messinscena, creata dal personaggio originario per smascherare la congiura dello zio, si dipana una brillante riflessione sulla capacità di vivere e condividere sentimenti sinceri in un mondo, il nostro, del tutto dipendente dalle reti virtuali, nelle cui maglie inestricabili siamo tutti, chi più chi meno, intrappolati: se non si appare sempre belli, felici, arrivati, non si esiste.
L’esibizionismo domina le nostre giornate, privandoci in modo sempre più pervasivo della possibilità di essere noi stessi, rendendoci confusi, fragili, soli.
Resistere è sempre più difficile. Accettare abitudini condivise dalla maggioranza è più semplice, sempre.
Ogni disagio deve essere allora bandito nel nome di un’apparenza vuota ed effimera, inutile e sterile.
La realtà diventa spettacolo.
Che succede, allora, al teatro?
La magia del palcoscenico si rinnova ritornando a se stessa, come in questo caso.
I pochi oggetti di scena, grazie all’abilità pirotecnica carica di fisicità di Gianfranco Berardi e alla presenza essenziale e discreta di Gabriella Casolari, si trasformano nelle cose più impensate.
Nella drammaturgia da loro ideata, Amleto e Ofelia attraversano lo spazio e il tempo e stravolgono la loro stessa essenza per metterci di fronte a noi stessi, per darci la possibilità di riconoscere, attraverso un sottile gioco di specchi, la fatica sempre più gravosa di un’esistenza che impedisce di vivere la complicità con l’altro e pretende con violenza l’adesione a un modello che spesso non ci appartiene; ci porta a spegnere poco a poco, in nome di una falsa spontaneità, ogni aspirazione a vivere emozioni reali e concrete assieme agli altri e a preferire, o piuttosto a rassegnarci di preferire alla sostanza reale una miriade di surrogati virtuali saturi di emoticon sempre più particolari e di “like” onnicomprensivi.
Vivere è un’altra cosa; Amleto e Ofelia, quelli veri, i personaggi nati secoli fa dall’immaginazione di un genio assoluto, lo sanno da sempre e si donano con sincerità oggi come allora, anche quando fingono di essere simili a noi.
La loro fragilità è espressione di una forza di cui dovremmo avere nostalgia.
Gianfranco Berardi, co-autore e coprotagonista assieme a Gabriella Casolari, ha vinto il Premio Ubu 2018 (miglior attore, ex-aequo con Lino Guanciale) con questo spettacolo, appropriatamente inserito dal Teatro Miela di Trieste nella sua “Rassegna ON/OFF – la prosa curiosa”.
Paola Pini