“Io sono mia”. Serena Rossi è Mia Martini

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Sembra proprio che ci sia un nuovo filone (d’oro?) da sfruttare, in Rai, ovvero i biopic sui più celebri (se sfortunati meglio, se deceduti ancora meglio) cantanti italiani. E sulla scia del Principe Libero che, diretto da Luca Fiacchini –nomen omen-, sbancò sia in sala che in tv seguendo le vicende del rapimento di Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi raccontandone contemporaneamente la vita non solo artistica, i vertici hanno ben pensato di creare un altro prodotto che stavolta mostrasse i dolori alternati ai successi di un’altra luminosissima stella del firmamento musicale italiano, Domenica Bertè detta Mimì, in arte Mia Martini.

Il canovaccio è uguale in entrambi i film: si parte da un avvenimento centrale nella vita dei cantanti (in uno il rapimento, nell’altro la partecipazione al Sanremo 1989 che in qualche modo la riabilitò), per andare poi a rebours a seguirne le tracce. Se però, in quel Principe Libero pure sbagliato e sfiatato, qualcosa di potente emergeva forse per il peso artistico di Luca Marinelli che prestava il volto -incredibilmente e inaspettatamente somigliante- a Faber, questo Io Sono Mia parte con il piede sbagliato e si rivela un disastro completo. Certo è che già la scelta del regista, quel Riccardo Donna reduce da varie fiction televisive e dall’incredibile -nel senso che non ci si capacita ancora come sia potuto accadere… e ci spiace per Baglioni- Questo Piccolo Grande Amore, doveva far pensare che qualcosa era andata storta: Mia Martini ha una delle parabole più strazianti dell’intero panorama della musica pop nostrana, con una vita di sofferenze interne laceranti che facevano il paio con una capacità vocale invidiabile e un’interpretazione di altissimo profilo. E sì che allora di materiale a cui attingere ce n’era eccome: il “duello” psicologico con la sorella Loredana, che le faceva protagoniste di un rapporto fatto di amore immenso e immense incomprensioni e lontananze, il rapporto difficile con il padre, la relazione sentimentale con Ivano Fossati, e non ultimo alcune delle più belle canzoni che la storia italiana ricordi. Invece, Io Sono Mia assume le sembianze sfatte di un biopic fuori tempo massimo, con soluzioni visive demodè, un ritmo che latita, interpretazioni fuori scala: insomma, un prodotto che pare uscito dalla peggior Rai degli anni 80, tanto poco evocativa alla fine risulta l’immagine della stessa Martini e tanto evanescente il profilo psicologico che si voleva tracciare.

C’è poi lo sfasamento biografico: dopo un’incomprensibile volontà di Fossati e Renato Zero di prendere le distanze dal progetto (incomprensibile perché proprio loro che nella vita la hanno amata avrebbero dovuto essere più partecipi in un’opera che avrebbe voluto e dovuto restituire dignità all’artista), le svolte narrative e i percorsi psicologici dei personaggi sono ancora più difficili da mantenere su una coerenza di massima. La sostituzione infatti del personaggio del cantautore genovese con un più anonimo e straniante fotografo pesa non poco sull’esito finale del ritratto che di Mia si sarebbe dovuto fare, rendendo incomprensibili alcuni passaggi.

Ma su tutto, rimane l’incredibile poco fascino che l’intero personaggio costruito da Serena Rossi esercita: un’interpretazione sbagliata, tutta smorfie e pose plastiche, che restituiscono solo una donna nevrotica con una sigaretta perenne tra le dita- cosa che magari Mimì poteva essere, ma di certo non la esauriva né la comprendeva in pieno. Neanche a parlare poi del divario tra l’estensione vocale della Rossi con la potenza graffiante della voce di Mia Martini: certo era impensabile eguagliarne le sfumature, ma non aiuta affatto che capolavori come Almeno Tu Nell’Universo, Piccolo Uomo e Padre Davvero, al di fuori di una mimica facciale e gestuale fin troppo calligrafica, vengano cantati con la stessa intonazione del Frozen disneyano.

Molto rumore si è costruito intorno alla squallida vicenda che vide a cantante al centro di voci e dicerie che la allontanarono dalle scene per molto tempo: ma anche qua, sembra che il copione porti avanti un tema senza capirne i motivi, metta in bocca agli attori frasi senza preparane minimamente il background sociale, culturale, psicologico.

Io Sono Mia resta insomma una lettera d’amore sentita e dovuta ad una donna che troppo ha dato e troppo poco ha ricevuto dal mondo dello spettacolo e della cultura; ma di certo non è una testimonianza da tramandare a chi, per motivi puramente anagrafici, la Martini non l’ha conosciuta e che in questo modo non la conoscerà davvero.

GianLorenzo Franzì

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