Trieste, Teatro Lirico Giuseppe Verdi. Dal 19 al 26 febbraio 2019
“Il castello incantato” è una bella e fresca nuova opera, commissionata a Marco Taralli dalla Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, dove in questi giorni va in scena.
Si ispira a “Il soldatino di stagno” di Hans Christian Andersen e da esso trae, oltre al soggetto, i toni buoni, teneri e delicati che caratterizzano i racconti sgorgati dall’anima sensibile e profonda dell’autore danese impreziositi, come l’originale da cui è tratto, da una lieve ombra struggente.
Nell’ouverture giocosa e fantastica, in cui già si presagiscono i colori ambientali che verranno e che preparano emotivamente il pubblico, numerosi flussi melodici appaiono e scompaiono combinandosi con grazia.
Il sipario si apre su un’ampia sala, dove alcuni giocattoli giacciono al momento addormentati.
È la vigilia di Natale e l’autorevole e benefica Fata (Selma Pasternak), creatura lunare, affida al generoso e un po’ ingenuo Folletto Fiordarancio, (Paolo Ciavarelli) i preparativi per la festa, assieme a una scatola contenente i nuovi arrivati: tanti bei soldatini di stagno.
L’entusiasmo dei vecchi balocchi lascia presto spazio alla sorpresa e alla curiosità suscitata dalla vista dell’ultimo di loro, il nobile Piombino (Motoharu Takei), privo di una gamba, che subito si innamora di Stella, la gentile ballerina muta (Cler Bosco), una creatura similmente provata dalle circostanze e, come lui, più fragile degli altri.
Ogni narrazione necessita di antagonisti, rappresentati qui dal “giocattolo dimenticato”, il luciferino Jack in the Box (Andrea Binetti), e dalle vanitose e vacue tre matrioske: Brunetta (Elena Sabas), Rossella (Silvia Pasini) e Biondina (Elena Serra).
Uno scherzo crudele sembra portare alla tragedia, ma grazie alla magia del Natale e alla potentissima “polvere polare” il lieto fine è assicurato.
La regia di Francesco Esposito (autore anche delle scene) è un meccanismo a orologeria che ben interpreta la drammaturgia corale dell’opera; ha un ritmo costante e sostenuto che si integra alla perfezione con l’originale musica di Marco Taralli, dichiaratamente inserita “nel solco tracciato dalla nostra importante tradizione lirica”, che incanta e coinvolge il pubblico di ogni età, fatto questo non semplice né scontato.
I costumi di Elena Gaiani sono belli, variopinti, dai colori accesi e curati nei dettagli.
Bravi gli interpreti; ognuno esprime al meglio la personalità del personaggio e colpisce la bravura di Motoharu Takei nel cantare, seppur brevemente, senza appoggiarsi a nulla.
Il coro femminile, preparato con l’abituale perizia da Francesca Tosi, interpreta il gruppo di soldatini non ancora usciti dalla scatola che, a breve distanza e al centro della scena, commenta e partecipa, sottolineando con i propri interventi i momenti più intensi della vicenda.
La direzione di Takayuki Yamasaki è chiara, lineare e in linea con il soggetto, dando il giusto rilievo alle voci e all’Orchestra, impegnata nell’esecuzione di una partitura articolata che ha il pregio di apparire lineare all’ascolto pur senza esserlo dal punto di vista tecnico.
La magia della fiaba è ampiamente trasmessa in questa messinscena corale, dotata di equilibri sottili e ben bilanciati.
Piace pensare che Hans Christian Andersen l’avrebbe gradita.
Paola Pini