Trieste, Società dei Concerti, Teatro Giuseppe Verdi. Il 27 marzo 2019
Grazie a una bella e intelligente collaborazione tra la Società dei Concerti e la locale sezione dell’Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia è stato possibile assistere, in un luogo prestigioso come il Teatro Lirico Giuseppe Verdi, a un esempio non esaustivo, ma di certo emblematico di quanto sia ampia e ricca l’offerta corale presente in queste terre e in particolare in una città, Trieste, dai mille volti e dalle infinite suggestioni.
Due compagini femminili si sono incontrate, diverse sotto molti aspetti, vicine per alcuni elementi, distanti per altri.
Nel breve spazio di un concerto è stato proposto un repertorio molto ampio e vario, ma strettamente interconnesso, che ha donato, tra l’altro, una prima esecuzione assoluta alla presenza dell’autore, il goriziano Patrick Quaggiato, e una prima esecuzione italiana (il Magnificat di Ambrož Čopi).
Il primo ensemble a presentarsi al pubblico è stato il Coro Clara Schumann, diretto dal M° Chiara Moro. Un significativo excursus (sette dei quattordici brani presenti nell’opera, con maggior attenzione alla parte centrale) all’interno della raccolta intima, complessa e ricca di suggestioni dei “Lieder und Gesänge” di Gustav Mahler e alcune pagine tratte dalla Cantata “Folk Songs of the Four Season” che Ralph Vaughan Williams scrisse su commissione, a seguito della richiesta fattagli nel 1950 dalla National Federation of Women’s Institutes, esprimendo così il suo concreto interesse per lo sviluppo e la diffusione della musica vocale di livello amatoriale, termine che risulta spesso fuorviante; sembra infatti essere al momento l’unico utilizzabile per definire un mondo ricchissimo e polimorfo che nulla dice sulla qualità delle interpretazioni, focalizzandosi piuttosto sulla distanza dagli ambienti definiti professionali, in cui chi si dedica a quest’arte lo fa per mestiere e non soltanto per passione.
In questa prima parte la delicatezza del tocco pianistico di Carolina Pérez Tedesco si è inserita con grazia rara nelle preziose armonie mahleriane e in quelle fluide di Williams, suggerendo un fine legame tra le molteplici voci, non soltanto delle brave coriste dirette con l’abituale perizia da Chiara Moro, loro guida fin dalla fondazione del “Clara Schumann”, ma anche degli autori presenti in gran numero nel prosieguo del programma.
La seconda parte è stata dominata dal Vikra, fondato e diretto dal M° Petra Grassi, giovane direttrice di grandissimo talento, nel quale alle voci femminili si aggiungono quelle di due tenori. Si tratta del gruppo vocale della Glasbena Matica – storica scuola musicale afferente alla Comunità Slovena di Trieste.
La relativa brevità dei brani proposti ha dato la possibilità al coro di accompagnare gli ascoltatori lungo i secoli, in un’esplorazione del suggestivo ambiente musicale sloveno passando dal madrigalismo rinascimentale di Jacob Petelin (più noto con la traduzione tedesca Handl o latina Gallus del cognome), vissuto in un ambiente tendenzialmente germanofono, alle armonie novecentesche dei triestini Marij Kogoj, allievo di Schreker e Schönberg (qui presente con due brani tratti dalla raccolta “Otroške Pesmi” (Canzoni per bambini), e Pavle Merkù, autore scomparso qualche anno fa, la cui musica, nelle “Tre canzoncine triestine”, crea con i versi lievi di Claudio Grisancich un incontro ideale, espressione di due sensibilità finissime al pari, seppur con evidenti e sostanziali differenze, di quello tra Patrick Quaggiato e Ciril Zlobec (opera dedicata dal compositore a Petra Grassi e al Vikra e impreziosito nel corso della serata dalla lettura del testo di Zlobec da parte dell’attrice Nikla Petruška Panizon).
Hanno completato il già ricco quadro le suggestioni di Josip Ipavec, Uroš Krek e la prima esecuzione in Italia del Magnificat di Ambrož Čopi, autori appartenenti al territorio più specificamente sloveno, ma al pari degli altri inseriti in un ambiente culturale estremamente poliedrico e permeabile alle influenze più varie.
Si può quindi affermare con tranquillità di essersi trovati di fronte a un magnifico esempio di unione e mescolanza virtuosa tra codici comunicativi: il latino cantato con Gallus e Čopi risente necessariamente degli echi di sonorità lontane dalle lingue romanze, mentre il dialetto triestino si carica dei colori più propri agli idiomi slavi, da cui molti termini tipici naturalmente derivano.
Tutto ciò si lega idealmente con l’inizio del programma, perché in altro modo, ma con lo stesso spirito tutto ciò è presente in modo pervasivo in Mahler, spesso nascosto nelle pieghe labirintiche dei suoi innumerevoli livelli di espressione, a sua volta vicino a Ipavec, Krek, e Kogoj.
Il concerto si è concluso, come tradizionalmente avviene nel mondo vocale, con un brano cantato a cori riuniti: Psalm 23 di Franz Schubert, con cui è stato riportato tutto a una comune e ideale origine.
Paola Pini