50 anni di King Crimson: apoteosi rock all’Arena Santa Giuliana

Data:

Umbria Jazz, Perugia. Giovedì 18 luglio 2019

1969: da un paio di anni, con i loro incerti esperimenti di contaminazione tra rock e musica sinfonica, gruppi britannici come Moody Blues e Procol Harum hanno intrapreso, forse inconsapevolmente, un percorso artistico destinato a cambiare la storia del rock. Le loro visioni e intuizioni verranno portate a compimento da una band leggendaria, che con il suo straordinario disco d’esordio stabilirà le coordinate stilistiche di quello che verrà poi definito progressive rock. Il disco in questione è In the Court of the Crimson King, la band, beh, l’avrete capito: i King Crimson.

Dietro questa portentosa creatura musicale si cela un’unica mente geniale, un solo padre/padrone che nel corso degli anni – anzi, dei decenni – ha più volte smontato e rimontato il giocattolo, spinto da un insaziabile desiderio di evolversi, oltre che dalla continua ricerca della perfezione: il chitarrista e compositore Robert Fripp. Settantatré anni, sulla breccia da oltre cinquanta (prima dei Crimson c’è stata la fugace e poco riuscita esperienza con i fratelli Giles nel gruppo Giles, Giles & Fripp), Fripp ha saputo imporre i Crimson come IL gruppo prog per eccellenza negli anni Settanta, pur tra momentanei scioglimenti e pause di riflessione dedicate a progetti diversi (come la storica collaborazione con Brian Eno, da cui sono nati due ottimi album). All’irreversibile crisi del movimento prog, letteralmente imploso alla fine del decennio, Fripp ha saputo rispondere prontamente con l’ennesima rifondazione della band, inaugurando con il fondamentale Discipline (1981) un nuovo corso artistico e concettuale capace di coniugare tensione verso il futuro e rispetto per le radici. Tra ulteriori cambi di pelle, ripensamenti ed esperimenti vari, sempre e comunque fedele al suo ideale di perfezionismo e alla sua inesauribile vena creativa, Fripp ha portato avanti il progetto Crimson fino a oggi, tagliando il traguardo dei cinquant’anni di attività.

Il tour che ha fatto tappa anche nella prestigiosa cornice di Umbria Jazz è proprio una celebrazione delle nozze d’oro tra i Crimson e la musica, e che celebrazione! Un concerto, quello perugino, a dir poco epico, anzi, epocale! In formazione a sette, con il rientrato Mel Collins – un altro pezzo di storia del prog, già nei Crimson dei primi anni Settanta – ai fiati e ben tre (3!) batteristi – tra cui Pat Mastellotto – schierati in prima linea, la band ha eretto un vero e proprio wall of sound progressivo lungo due ore e mezza (con un intervallo di venti minuti circa a metà concerto) di assoluta perfezione, scatenando l’entusiasmo del pubblico dell’Arena in una serata da “tutto esaurito”.

Prima dell’inizio, gli accorati e ripetuti appelli à la Keith Jarrett rivolti al pubblico riguardo il divieto assoluto di effettuare foto, riprese e quant’altro (anche Fripp, si sa, ha sempre avuto una certa avversione per flash e videocamere durante i concerti) fino alla fine dell’esibizione, hanno provocato una certa tensione, e alcuni spettatori avranno senz’altro rivisto i fantasmi dei famigerati concerti jarrettiani del 2007 e 2013; poi, per fortuna, grazie anche all’assiduo pattugliamento degli addetti di UJ che hanno rimesso in riga i pochi indisciplinati, tutto è filato liscio.

In apertura, tanto per mettere subito in chiaro le cose, un poderosa introduzione dei tre batteristi, che hanno scaldato i motori per entrare di colpo in Larks’ Tongues in Aspic, part one. Poi, tra continui salti temporali, la band ha ripercorso l’intera carriera Crimson privilegiando, com’era ovvio e giusto, In the Court of the Crimson King (tranne I Talk to the Wind sono stati eseguiti, e in maniera magistrale, tutti gli altri pezzi del disco) e Discipline, cioè le due opere più significative. Da quest’ultimo segnalo almeno le esecuzioni di Frame by Frame (anche se la bella voce del cantante e chitarrista Jakko Jacszyk si adatta decisamente meglio ai brani cantati da Greg Lake, piuttosto che a quelli di Adrian Belew) e dell’ipnotica The Sheltering Sky.

In una magica alternanza tra fasi impetuose e carezze (come la delicata Islands), brani strumentali e canzoni, i Crimson hanno condotto il loro pubblico fino al liberatorio e attesissimo bis finale: ovviamente 21st Century Schizoid Man, all’attacco del quale, in barba ai divieti e alle raccomandazioni iniziali, un mare di smartphone ha sovrastato la folla in delirio (tutti in piedi).

Allestimento scenico essenziale, anzi, direi spartano: regia video praticamente inesistente, con i maxischermi inchiodati sull’inquadratura fissa della band in campo lungo; alle spalle del gruppo una serie di sobrie luci blu, che hanno subito un’unica, significativa variazione cromatica durante il finale della splendida esecuzione di Starless and Bible Black, quando sono state inondate da un tripudio di rosso.

E il leader Fripp? Un po’ in disparte e in secondo piano, all’angolo destro del palco, elegantissimo in gilet e cravatta e serioso come sempre: non una parola, non uno sguardo né un gesto rivolto al pubblico, per restare immerso in una concentrazione quasi ascetica. Ma che grandezza! E che voce la sua chitarra! Un po’ a sorpresa, al termine del concerto si è sciolto anche lui, cedendo alla tentazione di farsi una foto ricordo col pubblico e fermandosi sul palco, anche se appena per un attimo, per raccogliere gli ultimi applausi di una folla letteralmente adorante. Una serata davvero indimenticabile, nel corso della quale i presenti hanno potuto toccare con mano un pezzo di storia del rock.

Francesco Vignaroli

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