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Ferdinando, ossia quel gran pezzo di nipote che sconvolge la grama vita delle due vecchie zie

Data:

Al Teatro della Cometa di Roma, fino al 10 novembre 2019

Porta la firma di Nadia Baldi la regia del testo probabilmente più famoso di Annibale Ruccello, Ferdinando. Andato in scena per la prima volta trentatré anni fa, ha vinto due premi IDI: per il testo e per la messinscena, allestita personalmente da Ruccello.
Il testo ricorda il teatro sociale di Raffaele Viviani, con un’operazione linguistica interessante, che fece discutere negli anni Ottanta e continua a strappare sorrisi amari. La lingua, di fatto, è da annoverare fra i protagonisti della pièce, ha un ruolo ben preciso e un carattere fermo: roccaforte dei nostalgici filoborbonici, si fa ostile alla nuova epoca dei barbari usurpatori (“l’italiano non ha una storia!”). Ma il Ferdinando non è tanto – o soltanto – teatro storico, è uno spaccato di nobiltà ferita, femmina, in attesa della morte.
Tutto si svolge in una villa della zona vesuviana, dove donna Clotilde (Gea Martire) si è segregata per scampare alla cultura piccolo borghese postunitaria. Con lei, donna Gesualda (Chiara Baffi), cugina povera autorizzata a starle accanto per via del nobile lignaggio.
Nel primo atto si approfondiscono le dinamiche fra le due, molto ambigue, e quelle che le legano ad un terzo elemento, l’ospite fisso del pomeriggio, don Catellino (Fulvio Cauteruccio), pessimo rappresentante di una Chiesa interessata agli averi delle sue pecorelle, più che alle loro anime.

L’atto si chiude con lo scompiglio portato nella vita dei tre dal personaggio che dà il nome all’opera, Ferdinando (Francesco Roccasecca), giovane nipote di donna Clotilde, dalla bellezza “morbosa e strisciante”.
Nel secondo atto la follia è evidente, scomoda, drammatica. Proprio come sottolineava Ruccello, si sviluppa un intreccio di «odi, bramosie sessuali, vendette, sopraffazioni, tenerezze, fra quattro personaggi, tutti perduti, dannati da una storia diversa per ognuno, ma sempre inclemente e perfida.»
Già portato in scena nella scorsa stagione da Nadia Baldi, la regista conferma la squadra. E fa bene. I quattro danno giusto corpo e voce a misteri dell’animo umano spesso fastidiosi o imbarazzanti. Gea Martire convince come donna Clotilde, vedova che vive nella prospettiva di una morte imminente, ma che cambia drasticamente approccio alla vita – se la donna è mobile, donna Clotilde di più. Chiara Baffi è una vivace donna Gesualda, schizofrenica nelle sue lacerazioni interiori. Bel personaggio. Fulvio Cauteruccio interpreta quel pusillanime di don Catellino: viscido e arrivista, riesce a farsi detestare. Infine, Francesco Roccasecca veste (e sveste!) i panni del giovane Ferdinando, snob e odioso quanto basta per seguirlo fino alla fine.
Un quartetto che funziona, ben diretto da Nadia Baldi e inquadrate nella scenografia di Luigi Ferrigno. La lingua napoletana fa il resto, restituendo al pubblico un’amalgama di sentimenti pesanti in cui rispecchiarsi, volendo.
Necessaria almeno la competenza passiva dell’idioma napoletano. Per mettesi alla prova, lo spettacolo è al Cometa fino al 10 novembre.

Maria Vittoria Solomita

 

Teatro della Cometa, Roma. Fino al 10 novembre 2019
Drammaturgia: Annibale Ruccello
Regia: Nadia Baldi
di Annibale Ruccello
con Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio, Francesco Roccasecca
Costumi: Carlo Poggioli
Scenografia: Luigi Ferrigno
Consulenza musicale: Marco Betta
Aiuto regia: Rossella Pugliese
Organizzazione: Sabrina Codato
Supervisione artistica: Daniele Monterosi
Produzione: Teatro Segreto srl

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