E’ andato in scena a Milano, al Teatro Nuovo, all’interno della mini-rassegna I Miti del Rock, The Jimi Hendrix Revolution: una grande abilità, quella di aver cambiato il corso della musica, lasciando un’eredità stilistica incredibile che ha influenzato tutta la successiva scena artistica.
The Jimi Hendrix Revolution torna a Milano dopo il debutto di un anno fa al Teatro della Luna; sul palco la voce e la chitarra di Andrea Cervetto, accompagnate dalla batteria di Alex Polifrone ed il basso di Fausto Ciapica, per rivivere brani come Foxy Lady, Purple Haze e Hey Joe. Completano lo spettacolo la voce narrante del grande sceneggiatore e fumettista Giancarlo Berardi che, oltre a curare la regia, ripercorre con i suoi interventi alcune tappe della vita di Jimi Hendrix; inoltre, l’opera di Franco Oriche che, durante il concerto, realizza dal vivo una tela raffigurante Jimi Hendrix stesso.
La musica prodotta con il suo fascino evocativo ha comunque provocato piacevoli emozioni: Hendrix è stato definito un brutalizzatore della chitarra, quindi difficile per chiunque raggiungere quella ruvidezza, seppur Andrea Cervetto sia bravo tecnicamente: chiaramente ed inevitabilmente la voce cantante non ha potuto rispettare l’originale sonorità afro-americana. All’emulo di Hendrix va comunque dato atto di non avere ecceduto in gigionismi ed imitazioni esasperate dell’originale che sarebbero suonati sgradevoli; inserire note dell’inno di Mameli all’interno della leggendaria reinterpretazione dell’inno americano, però, ha creato un pò di disagio. Ogni tre-quattro brani suonati compare sul palco la voce narrante che, con brevi interventi, narra appunto note tratte dall’autobiografia di Hendrix.
Il limite principale dello spettacolo è stato di non avere un progetto ambizioso, nonostante il fumettista e la voce narrante: partendo dall’impossibilità di riprodurne l’anima, il soul, di Hendrix, forse sarebbe stato più interessante mischiare l’omaggio contemporaneo con l’evocazione documentale che ne trasmettesse le tribolazioni, almeno di quelle musicali, che lo portarono ad abbandonare la formazione degli Experienced per sonorità più funky. Il grande vuoto lasciato da Hendrix dal punto di vista artistico è costituito dall’inimmaginabile contaminazione che sarebbe derivata dall’ipotizzata collaborazione con il genio di Miles Davis: nel 1970 Davis ha pubblicato Bitches Brew, una svolta epocale in ambito jazzistico; Hendrix e Davis a quel punto non potevano non incontrarsi. Pochi giorni dopo la sua morte, nel settembre del 1970, Hendrix avrebbe proprio dovuto andare in uno studio di New York per registrare con Miles Davis e Gil Evans.
Uno show caratterizzato comunque dalle emozioni, un viaggio nel tempo nel quale immagini e musica si intrecciano, riportando in vita le figure immortali di questo grande mito del rock. Ad accompagnare il pubblico in questo viaggio nel foyer del teatro sono esposte le opere pittoriche di Franco Ori in una mostra dedicata all’artista.
Chiara Pedretti