Confessione di un criminale in “Cobra non è”. Intervista a Daniel Terranegra

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Amichevole e loquace sono i tratti distintivi della sua personalità ma cerchiamo di andare a fondo. Incontriamo virtualmente, quarantena dictat, l’attore Daniel Terranegra prima di vederlo nel film “Cobra non è”, regia di Mauro Russo, in uscita su Amazon Prime il 30 aprile.

Con il sorriso a mezza bocca idealizza e non idealizza la sua professione, appassionato di Majakovskij e Carmelo Bene, fin da bambino si nutre di film, definisce il suo un mestiere di resistenza e il suo sogno è quello di diventare un bravo attore più che un attore famoso, o possibilmente tutti e due.

Lo abbiamo visto partire quindici anni fa dal teatro con registi quali Andrea Baracco, Pierpaolo Sepe, Luca Nicolaj e prendersi cura in particolare del Teatro Sala Uno accanto al direttore artistico Reza Kheradmand. Protagonista della serie web “Tutte le ragazze con una certa cultura”, in cui è un correttore di bozze sottopagato e gran collezionista di relazioni poco entusiasmanti, fino ad affiancare Luca Marinelli nel ruolo di Ottavio in “De Andrè-Principe Libero”.

Lo ritroviamo in “Cobra non è” nel personaggio di Goran un criminale slavo, e in effetti la faccia ci sta tutta per quanto la sua origine sia Rocca di Papa, posto in cui se si nominasse agli anziani “criminalità organizzata” probabilmente risponderebbero che non ne hanno mai sentito parlare.
Alla regia della sua opera prima, Mauro Russo ha impresso uno stile pulp all’italiana dai colori dark e ha circondato i protagonisti Cobra e Sonny, rispettivamente il rapper e il suo manager, da personaggi grotteschi ed eccentrici, a formare un cast di facce davvero interessanti: Gianluca Di Gennaro, Federico Rosati, Nicola Nocella, Denise Capezza, Roberto Zibetti, Matteo Baiardi, Gigi Savoia, Yoon Cometti Joyce, con la collaborazione speciale del Maestro Ruggero Deodato e di cantanti quali Max Pezzali, Elisa Toffoli, Clementino, Tonino Carotone, Il Pancio ed Enzuccio.

Ma veniamo a noi.

Molti attori raccontano di arrivare ad un provino senza aver avuto la possibilità di prepararsi accuratamente. Come è stato per te portare a casa un ruolo in questo film?

È stato fantastico anche se a scoppio ritardato perché sono venuto a conoscenza di essere stato preso solo due mesi dopo. Ricordo che il giorno del provino ero molto concentrato e determinato, ho avuto una settimana per prepararlo e di questi tempi è quasi un lusso. È stato il mio primo provino per una parte lunga ed elaborata e per assurdo il lavoro è stato più semplice; troppo spesso gli attori non protagonisti ricevono solo stralci di scene per i provini, ed è una lotteria riuscire ad esprimersi, a tirare fuori il meglio di sé, in poche battute.

Probabilmente la preparazione di un attore dura una vita intera ma immagino che lo studio di un personaggio inizi da un momento in cui ci si incontra, ci si presenta… per poi finire a diventare uno parte dell’altro. In che modo Goran, questo criminale slavo, è diventato parte di te?

Fin dalla prima lettura ho trovato la sceneggiatura molto interessante perché ben definita e complessa, piena di personaggi dai mille colori diversi. Si è creato subito un parallelo tra me e il mio personaggio e non è stato l’aspetto criminale (ride). La mia ansia da prestazione è stata simmetrica alla paura del personaggio di tirare fuori il suo lato umano, ho lavorato molto sulla sinergia di queste due forme di paura. È difficile interpretare un personaggio cattivo senza cadere negli stereotipi. Ho lavorato affinché in tutta la rabbia di Goran si potesse intravedere un cattivo che “è diventato cattivo”. Non credo che esistano persone cattive, credo che la situazione in cui si nasce e come si cresce condiziona il carattere di un essere umano.

“Cobra non è” si è definito una crime comedy con elementi pulp, in che modo il regista Mauro Russo ha rivisitato questo genere?

Ho scelto di non vedere il film prima dell’uscita ma ho intuito che c’è tanto pulp. Mauro nasce come regista di videoclip musicali e adesso è il più ricercato dalle maggiori case produttrici musicali. C’è tanto del suo lavoro nel film e chi conosce quel mondo può capire bene i colori di questo film. Sono partito con un’idea del mio personaggio che non era vicina a quello che poi ho interpretato. Quando sono arrivato sul set mi sono messo in ascolto di tutto ciò che mi circondava, mi sono nutrito dei colori, delle ambientazioni ed è così che ho incominciato a intuire la follia visionaria di questo regista che con talento ha saputo creare delle immagini che mi hanno aiutato e hanno modificato l’idea iniziale del mio personaggio.

Come è stata la vita sul set?

Fellini raccontava che quando iniziava un film chiudeva il set, non permetteva a nessuno di uscire, quindi tutti dormivano e mangiavano lì perché voleva che si creasse un mondo.

Quando abbiamo girato era inverno ed eravamo in posti meravigliosi del Salento e non è la prima volta che la terra natia del regista fa da sfondo al suo lavoro. Anche in questo caso il set per noi è stato un mondo in una bolla, un lasso di tempo in cui ho avuto la fortuna di legare soprattutto con Gianluca Di Gennaro, Federico Rosati e con l’attore straordinario che è Matteo Baiardi.

Cobra, il protagonista, è un giovane Rap: genere musicale che nasce assieme alla necessità di essere veri e raccontarsi con il linguaggio di strada. Da qualche parte ho letto la leggenda che la parola Rap viene da “Rhytm and poetry” “Ritmo e poesia”, probabilmente non è così ma secondo te i due termini descrivono le canzoni Rap più sdoganate tra i giovani italiani di oggi?

Non sono un cultore del rap italiano ma ci sono alcuni artisti che con il dialetto raggiungono una forza, un’identità poetica. Il rap più sdoganato di oggi mi sembra lontano da un certo ritmo e dalla poesia. Ogni arte necessita di tempo e studio, il ritmo soprattutto richiede complessità nell’ascolto. Insomma non ci si dovrebbe improvvisare.

A proposito di rapper nella canzone “Mainstream”dell’ultimo suo album J-Ax canta la parabola di un artista rap e dice che la gente finisce per amarti davvero solo quando schiatti. È applicabile anche agli artisti non rap?

Sono così tanti gli artisti che sono morti sconosciuti, direi che al giorno d’oggi è difficile per tutti gli artisti. Sicuramente ci sono artisti più facilitati dal fatto che la loro arte interessa di più, è più in voga. Ad esempio uno scrittore ai giorni d’oggi è… (sorride) è un poeta soltanto per il motivo di provare a esserlo. Il senso della poesia a volte sta proprio nell’impossibilità ma nella volontà. A confronto un attore è comunque più agevolato, ha più punti di riferimento.

Torniamo al cinema. Le sale in Italia stanno vivendo una crisi economica mentre piattaforme come Netflix e Amazon stanno crescendo. Cosa sta succedendo alla qualità dei film?

Se un film non è nelle mani dei grandi distributori, stiamo parlando anche qui di un “poeta” (ride), perché si sa di correre il rischio di cadere nell’oblio ed essere dimenticati. Ci sono tanti film che non sono mai stati proiettati. La distribuzione è in crisi, spesso sono molto lunghi i tempi da quando un film finisce di essere lavorato a quando riesce ad arrivare nelle sale o dove deve arrivare. Il “Cobra non è” uscirà su Amazon, ed è chiaro che adesso per noi questo tipo di piattaforme sono una salvezza, altrimenti non avrei potuto avere la gioia di veder uscire finalmente il mio film. È un’occasione incredibile quella di essere visti da una moltitudine di persone che oggi, purtroppo, non raggiunge più il cinema se non in casi eccezionali o nel caso dei film da botteghino. Grazie alle eccellenze, ad artisti come Elio Germano e a produttori di film come il suo ultimo “Volevo nascondermi”, credo che l’Italia comunque stia riuscendo a tirar fuori qualcosa di bello. Penso che la poca qualità di alcuni film derivi anche dalla selezione che a monte si fa agli attori; la bravura di molti non viene riconosciuta perché nel nostro settore ci sono delle “istituzioni” molto salde che sono difficili da scardinare.

Veniamo al periodo eccezionale che stiamo vivendo per via della pandemia che insieme a tanto buio ha fatto luce sulla situazione dei lavoratori dello spettacolo a cui è negato ogni tipo di tutela…

Stiamo vivendo una situazione assurda e infatti voglio ringraziare Artisti 7607 che ci sta sostenendo concretamente; per quanto riguarda le istituzioni mi sento solo. Proviamo ad immaginare questa quarantena senza un film in televisione, senza un libro o senza musica. Il nostro lavoro è importante, alla cultura deve essere riconosciuta la sua funzione sociale. Uno Stato civile e democratico non dovrebbe permettere che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B, i lavoratori dello spettacolo devono essere tutelati. Le cose così come stanno non vanno bene. L’unico mondo che non mi auguro di vedere dopo questa pandemia è il mondo prima della pandemia.

Livia Filippi

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