Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia dal 6 all’11 ottobre 2020
Il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ha aperto il sipario dell’Atto Primo di questa nuova Stagione con “La pazza di Chaillot” la surreale e poetica commedia scritta da Jean Giraudoux nel 1943 e andata in scena per la prima volta, postuma, nel 1945.
La produzione inaugurale del teatro triestino ritorna così con successo a un testo drammaturgico dopo le ottime rielaborazioni teatrali di due importanti testi letterari (“I Miserabili” da Victor Hugo e “L’onore perduto di Katharina Blum” da Heinrich Böll).
La regia di Franco Però fa emergere con delicatezza tutta la potenza sognante del testo originale, qui nell’adattamento di Letizia Russo, e la vicenda si svolge svolgendo innumerevoli quadri legati armonicamente fra loro da un’interpretazione corale resa con efficacia e bravura dalla Compagnia Stabile del Rossetti arricchita da numerosi attori ospiti, a partire dalla protagonista, Manuela Mandracchia, splendida nel ruolo di Aurelie e Giovanni Crippa, valido interprete del Cenciaiolo, in particolare nel lungo monologo della seconda parte.
Risulta riuscito il non semplice compito di mantenere viva con costanza l’attenzione del pubblico, pur rinunciando all’intervallo per questioni di sicurezza, di un testo complesso non tanto per la lineare struttura drammaturgica, quanto per la ricchezza concettuale mantenuta intatta e caricata ulteriormente dal finale inatteso di una fiaba visionaria con i piedi ben piantati per terra; e il contesto in cui i personaggi si muovono (le scene di Domenico Franchi, i costumi di Andrea Viotti, le luci di Pasquale Mari) ne esprime chiaramente i connotati, supportati anche dalle musiche di Antonio Di Pofi, appropriate e puntuali nei momenti topici, di cui amplificano la portata evocativa grazie a una bellezza amplificata dalla non invasività all’interno del quadro generale.
Ecco, forse la chiave dell’intera messinscena si trova in questa levità espressiva di una trama dal significato forte e impegnato, vera e propria chiamata civile alle armi per salvare il pianeta dalla rapacità di quelle che Edgar Morin, il filosofo e sociologo francese quasi centenario, ha recentemente definito “le due barbarie che minacciano sempre più l’umanità: la vecchia barbarie, venuta dalla notte dei tempi, del dominio, dell’asservimento, dell’odio, del disprezzo che dilaga sempre più nelle xenofobie e nei razzismi, e la barbarie fredda, glaciale del calcolo e del profitto che domina in gran parte del mondo”.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza una riuscita dialettica concorde tra i personaggi e gli attori, realistiche personificazioni della dicotomia di una realtà complessa che non semplifica, ma indica con lucidità il confine tra bene e male. E, se è vero che il primo è chiaro e definito, mentre il secondo può apparire sfuggente, i personaggi di questa bella commedia ci mostrano che sono indubbiamente i buoni ad essere portatori di una molteplicità che si autoalimenta e con essa possono contrastare con successo tutti quei cattivi dall’aspetto uniforme, monolitici nel vedere in modo grezzo un mondo in bianco e nero.
Risultano evidenti i richiami ad altre arti, come ad esempio gli uomini con bombetta in “Golconda” di René Magritte e per qualche attimo si sente aleggiare la soave bellezza del mondo creato da Charlie Chaplin; sono stati numerosi momenti in cui il pubblico ha dimostrato il proprio coinvolgimento con un silenzio attento, coinvolto e partecipe.
Se si ricordano le prime prove della Compagnia Stabile, creata nel 2015 da Franco Però e definita patrimonio del Teatro dal Presidente Francesco Granbassi nel breve ed efficace discorso di benvenuto tenuto prima dell’inizio dello spettacolo, si può ammirare oggi un ensemble ben maturo, capace di mantenere il giusto equilibrio tra la personalità strutturata dei singoli e l’equilibrio del gruppo: ai tre malvagi iniziali (il Presidente, Francesco Migliaccio; il Barone, Mauro Malinverno; lo Speculatore, Riccardo Maranzana) si aggiunge Andrea Germani, l’inquietante Prospettore; si contrappongono in blocco e in modo netto e preciso ai liberi sodali di Manuela Mandracchia (Aurelie, la pazza di Chaillot), a sua volta supportata dalle amiche coerentemente folli: Maria Grazia Plos (Constance) ed Ester Galazzi (Gabrielle), protagoniste di un delizioso terzetto nella seconda parte della pièce. La resistenza è attuata dal Cenciaiolo, Giovanni Crippa assieme ai due camerieri di “Chez Francis”: Martial, Filippo Borghi e Irma, Zoe Pernici e con loro tutti gli altri. Intorno al locale infatti, centro vitale del quartiere di una Parigi a rischio di estinzione appaiono e scompaiono la fioraia, Miriam Podgornik che impersona anche il ruolo della piccola risparmiatrice e della salvatrice del quasi affogato Pierre, Emanuele Fortunati; il Sordomuto, Jacopo Morra (anche Jadin e il Fognaiolo). C’è pure la Guardia tra gli amici di Aurelie (Riccardo Maranzana), partecipe assieme ai semplici della rivolta contro il Male.
Jean Giraudoux è stato un vero maestro nel mostrarci con chiarezza e facendoci riflettere sorridendo, quanto sia forte la doppia natura meravigliosa e perversa degli esseri umani.
Ma ci ricorda anche quanto la Natura abbia bisogno di noi tutti, ospiti e non padroni della Terra.
Ci spinge, con la dolcezza della poesia, a tenerlo ben presente e ad agire di conseguenza per essere, probabilmente, anche più felici.
Paola Pini