Nicola Fiorentino, La poesia di Evandro Marcolongo. – Edizioni Casulae Club, Casoli, Chieti 2016

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Figura brillante di sacerdote e letterato della prima metà del novecento nella terra natale d’Abruzzo (nativo di Atessa ha operato prevalentemente ad Ortona come canonico-parroco fino al 1942 quando fu insignito della dignità di canonico primicerio e dove è sepolto), Evandro Marcolongo ha scontato a lungo, anche nella sua stessa regione, di quella poco conoscenza o credito che sovente la storia letteraria può serbare alla periferia della sua geografia. Una svolta si è avuta finalmente negli ultimi vent’anni grazie a due pubblicazioni: la prima quando nel 1997  grazie all’amministrazione comunale di Atessa guidata dal professor Angelo Staniscia vede la luce Evandro Marcolongo- A chiuse ciglia, una corposa antologia a cura di Teresa Ferri della Università di Urbino (alla raccolta di testi editi e inediti si accompagnano materiali di lettura e  giudizi  estetici  sull’opera) e nel 2015 una nuova Antologia, Evandro Marcolongo- Un poeta abruzzese del novecento (Pescara, Edizioni Tracce) a cura di Giandomenico Mucci e Maria Pia Alleva (la nipote grazie al cui ritrovamento di composizioni sconosciute è stata possibile la  pubblicazione). A partire da questo e dalla stessa riconosciuta bassa dimestichezza con l’autore e l’opera, Nicola Fiorentino che dell’Abruzzo letterario è valente e sapiente critico nell’orizzonte e nella storia delle sue direzioni, si è adoperato dapprima a una ricostruzione della fortuna critica di Marcolongo e poi a un’analisi esegetica a partire da alcuni testi. Così nella prima parte il valore poetico di un dettato che si è sviluppato nel doppio binario in lingua e in dialetto risale alla luce grazie alla sottolineatura di incontri e giudizi di merito (ma anche di sottovalutazioni) che hanno dapprima nei nomi di Cesare De Titta, Vittorio Clemente,  Raffaele Cauti, Francesco Brasile (che lo salutò come “incarnazione vivente del più puro idealismo, francescano nel sentire e nella veste, poeta classico nella perfezione del verso che, anche, nel dialetto, conserva la sua bellezza”), di Francesco Amoroso nel paragone al Pascoli, quelli di maggiore riscontro. E poi, ancora, quelli di Ottaviano Giannangeli, Luigi Illuminati, Vittoriano Esposito, Ernesto Giammarco e dello storico di Atessa Giuseppe Zulli Marcucci (per la cui sottolineatura nel 1981 del minore riconoscimento nella produzione in dialetto per mancanza di tono popolare- a differenza ad esempio di Modesto della Porta- e dell’importanza con la fede del mito dell’infanzia viene qui ricordato l’importante contributo) fino in ultimo quello di Donato Valli, professore dell’Università di Lecce, nell’evidenza dei referenti culturali e poetici che hanno impreziosito la pagina di Marcolongo (da Leopardi, D’Annunzio, Pascoli, Carducci, i testi antichi e la viva presenza della musica e del folklore regionali, espressione dell’anima popolare– lo stesso Baudelaire nel procedimento sinestetico). È soprattutto però sulla antologia uscita nel 2015 che si concentra l’attenzione di Fiorentino della quale fa una vera e propria recensione considerando l’importanza di un lavoro che ha alla base l’obiettivo “di inquadrare l’autore e l’opera in un approfondito ed esaustivo commento storico-culturale”- come Fiorentino stesso ricorda- “una  completa  biografia dell’uomo, del poeta e del religioso, con il suo carattere, le sue esperienze e le sue relazioni sociali; ecco il contesto storico nazionale entro cui visse il poeta tra fine ottocento e primo novecento, ecco un’acuta indagine sull’Abruzzo letterario dell’epoca entro cui si colloca l’esperienza letteraria”(Giandomenico Mucci in più facendone una approfondita analisi). La ricchezza dei documenti proposti, con particolare attenzione a quelli in lingua e in dialetto fino ad oggi sconosciuti, abbraccia una gamma di testi che infatti va a interessare anche le canzoni abruzzesi musicate in prevalenza da Antonio Di Iorio (ricordiamo che Marcolongo fu tra i maggiori  autori di Maggiolate), le omelie, gli inni religiosi e un prezioso epistolario. La sintesi che Fiorentino trae è quella di un autore padrone assoluto “di metri e versificazione”, poeta assai dotto, “esperto di lettere classiche ma ben piantato nell’humus culturale del suo tempo” nell’influsso di autori come Pascoli, Carducci, dei crepuscolari ed anche dei simbolisti francesi (la cui lezione viene filtrata “con vigile senso di equilibrio all’interno dell’imperante forma classicheggiante”). In Marcolongo l’idea della poesia è concepita come “una rimembranza di sensazioni sepolte nel subconscio, di sentimenti, di sogni che riaffiorano nella memoria” ed espressa in questi versi:”Fu la nostra poesia la trasparenza/ di luci ed ombre travedute al sole/ d’Abruzzo. Che splendore! E son parole/ ritmate al caldo d’una compiacenza/ gioiosa..“. Tale giudizio critico è suffragato peraltro come accennato dall’esegesi di due testi, “È bella Ortona” e “Fine di primavera (di quest’ultima, oltre che evidenziando le doti metriche a ragione di “un’arte raffinata e ben consapevole delle sue risorse,” offrendo una scrupolosissima analisi delle varianti delle sei versioni che poi porteranno alla definitiva- e qui tutte riportate), e da due brevi capitoli dedicati ad un aspetto minore forse ma ben presente negli autori a lui contemporanei e cioè l’esotismo e al fonosimbolismo a rafforzare comunque l’idea di un autore che nella sensibilità e nell’abilità delle sue corde ha saputo ben coniugare come più volte espresso “un sereno classicismo, nutrito degli esiti più alti della letteratura nazionale” con “i turbamenti e le risorse di tanta sensibilità moderna”. Un lavoro davvero prezioso allora questo di Fiorentino nell’illuminare al meglio il tracciato di un percorso, di un autore che andrebbe finalmente e degnamente riposizionato all’interno della nostra storia letteraria (dunque non solo regionale), in questo inoltre  convenendo con Donato Valli quando definisce l’opera di Marcolongo “anello essenziale per comprendere il non facile trapasso storico-culturale dall’Otto al Novecento e per valutare il contributo che la provincia ha dato per mantenere vivi i valori della tradizione letteraria”.

Gian Piero Stefanoni

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