Fare teatro per me significa sostenere che la verità non esiste da nessuna parte.
(Ronconi 2019:72)
La regia di Luca Ronconi
La figura del regista, che si suole vedere sotto una luce autoritaria e separata dal lavoro degli attori, viene messa in discussione e, allo stesso tempo, rivalutata da Luca Ronconi. Si può affermare che Ronconi sia stato un interprete del proprio tempo: grande conoscitore del teatro, oltre che dell’uomo, che ha sempre voluto indagare. Ronconi, però, non è un regista provocatore: per lui fare teatro significa sostenere che la verità non esiste da nessuna parte; vuol dire sottolineare l’importanza di analizzare un testo, o anche solo una frase e scovare significati a parti che, altrimenti, rimarrebbero materia non lavorata. Questo porta anche a seguire una direzione che non ha la pretesa di affermare una supremazia: è ricerca, è puro gusto di sperimentare e di fare teatro, in cui è centrale la collaborazione e non l’autorialità. Se da una parte, dunque, il palcoscenico impone delle regole, dall’altra a Ronconi piace fare un teatro totalmente libero: unico vincolo, la pertinenza al testo che si sta rappresentando e un rapporto non mediato con gli spettatori. Il regista è, così, un intermediario fra la creazione artistica di un autore e le possibilità di lettura di un attore. Egli è, dunque, un testimone dell’attore, ma è anche colui che porta l’attore a saper vedere e a saper leggere, ben più che a saper fare, insomma a saper cogliere tutte le potenzialità di un’opera e a saper scegliere. Ronconi, nonostante gli inizi da attore all’Accademia Silvio d’Amico di Roma, preferisce, negli anni successivi, praticare la regia che lo vede in veste di ordinatore di materiali più che di creatore. Egli porta avanti, in parallelo, il desiderio di riflettere sul significato di recitare in italiano, idioma che lascia una grande mobilità a chi parla, con la scelta di rappresentare un testo, quale Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, che si presta bene a questa intenzione. Il regista non si occupa solo di mettere in scena un testo teatrale, o meglio la pièce metateatrale per eccellenza, ma lo riporta in vita, aggiungendo una nuova luce a momenti che risultano essere, poi, degli snodi per la vicenda, come, ad esempio, i rapporti tra i Personaggi e la loro intrigante psicologia che giustificano la sinossi e che rivelano molto di più delle semplici figure che ciascun
Personaggio incarna.
Ronconi, inoltre, trasmette in itinere la sua capacità e il suo tentativo di lettura e comprensione di
un’opera, non ricorrendo, così, ad un metodo predefinito e immutabile.
La visione teatrale di Ronconi è, poi, all’opposto di quella brechtiana. Secondo Brecht, infatti, non c’è un coinvolgimento psichico; anzi, l’attore osserva lucidamente il personaggio e se ne distanzia. Per Ronconi, invece, non ci sono regole fisse e rigide: se un Personaggio si comporta in una certa maniera, non per questo bisogna dare credito alle sue parole, ma è importante osservare i suoi modi di agire da un punto di vista tangibile e non ideologico.
Se, infine, la figura del Capocomico, figura centrale che non si limita a dirigere gli attori, ma che cerca di costruire una macchina teatrale complessa, può essere considerata ormai un’immagine remota, Ronconi ne è un superstite. Quest’ultimo, infatti, rimane, nel panorama teatrale, un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono fare teatro e del teatro la propria passione e la propria linfa vitale. Ronconi dimostra, così, di poter rompere quel modo omologato e standardizzato di stare in scena che assedia il teatro. Presentare, nello specifico, uno spettacolo infinito, ovvero in movimento, tra gli anfratti dello spazio, gli interstizi del tempo e le incrinature dell’identità, significa realizzare uno spettacolo che sia capace di eccedere nel tempo e nello spazio le facoltà percettive del pubblico e che possa essere colto, così, da ogni singolo spettatore solo per frammenti, rivivendo a posteriori nella memoria un soggettivo montaggio, dove lettura e memoria giocano un ruolo centrale. La parola infinito, dunque, non può non suggestionarci.
Il lavoro di Ronconi è memorabile non solo per la pratica della regia, ma la sua centralità è data anche dallo sguardo dell’oggi sul passato, che ci permette di considerare ancora fruibili i suoi insegnamenti: l’analisi approfondita del testo e la capacità performativa come frutto della ricerca del significato più nascosto del testo, sono sfide ancora attendibili. D’altra parte, la scuola ha sempre fatto parte del suo teatro, in quanto aspetto indispensabile e complementare. Quando Ronconi, infatti, studia da attore in Accademia è maggiormente interessato ai problemi di recitazione e di interpretazione, o all’approfondimento del testo, o alla ricognizione di quelle che possono essere le ragioni del carattere del Personaggio, piuttosto che all’effetto che il risultato finale può avere sul pubblico. Non è necessario, d’altro canto, per un regista essere nato come attore, ma è anche vero che, per Ronconi, sperimentare in prima persona quali possano essere i meccanismi, le difficoltà, le resistenze, i piaceri e i dispiaceri dell’essere in scena è utile per poter lavorare con gli attori.
Sei personaggi in cerca d’autore costituisce un ottimo materiale didattico, ideale per lavorare con un gruppo di giovani allievi dell’Accademia “Silvio d’Amico” di Roma al Centro Teatrale Santacristina durante l’estate. Nel preparare questo spettacolo, c’è un aspetto da non sottovalutare, ovvero il dover fare i conti con un linguaggio estremamente denso, vicino al linguaggio quotidiano, senza, però, accontentarsi della banalità. Questa riflessione è utile soprattutto per dei giovani attori in un momento in cui il linguaggio rischia di impoverirsi. L’approccio di Ronconi con le giovani generazioni, inoltre, non segue un metodo già definito: il metodo è nel lavoro. Durante le lezioni a Santacristina, Ronconi lavora con sedici attrici e attori; se si dovesse attenere ad una metodologia, allora applicherebbe metodi diversi, in base alle attitudini di ognuno: si tratta, invece, di portare il gruppo ad un risultato d’ insieme.
Tra gli allievi dell’Accademia, emerge Davide Gagliardini che interpreta il Capocomico, figura cardine, punto di contatto tra due mondi, cioè tra quello preesistente degli Attori e quello fantasmatico dei Personaggi. In una giornata come tante, in una sessione di prove, viene invaso dalla presenza dei Personaggi, che egli si è sempre immaginato ma che non pensava esistessero. Si sente spiazzato, vuole mettere in scena il dramma, ma si rende conto che gli strumenti che ha finora utilizzato nelle consuete rappresentazioni non sono sufficienti per dare vita ai Personaggi. Per Gagliardini, «Ronconi è un profondo conoscitore dell’uomo in tutte le sue forme e sprona gli attori, durante le prove, a cercare una corrispondenza tra quello che dicono e quello che fanno, alla ricerca di una concretezza estrema: è un pendere continuo verso la perfezione che, a volte, è responsabilizzante, ma raggiungere il risultato finale è altrettanto gratificante»6. Un’altra allieva, invece, Lucrezia Guidone, interpreta la Figliastra, che rappresenta la fantasia dell’autore, “mostriciattolo” in cui si convoglia tutto; il Personaggio è stato
costruito, drammaturgicamente, con un tratto ossessivo nei confronti di se stessa e degli altri. La Guidone, infine, definisce il lavoro con Ronconi «nutriente, è come un petrolio che scende dalle pareti, che investe e che ti cambia. Il regista, infatti, riesce a farti allargare la coscienza da attrice, ma anche umanamente, perché l’impatto è forte».
Il non-metodo didattico di Ronconi
Cosa significa recitare? Al lavoro con sedici giovani attrici e attori per la messa in scena del testo pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore, Luca Ronconi mostra che si tratta di un processo complicato e concreto allo stesso tempo: letture, prove, tentativi su come seguire le tracce del testo, trasformarle con le tecniche della parola detta, ripetere la battuta, cercare l’intonazione giusta, spezzare la linea della lettura grigia, trovando contrappunti complessi e non necessariamente narrativi. Ronconi, inoltre, non ha l’abitudine di leggere con le attrici e gli attori un copione: atto primo, scena prima. Egli, invece, apre casualmente il testo e vede dove si può trovare qualche elemento che attiri l’interesse, ricordandosi che è la lingua a far stare in piedi trama e personaggi. Il testo teatrale e in primis letterario, dunque, va rispettato, oltre che nella sua essenza e nel suo svolgimento, anche nei suoi ritmi, che il regista non vuole sconvolgere. Bisogna, d’altro canto, ricordarsi che un buon metodo pedagogico non è qualcosa che possa garantire, necessariamente, un buon risultato. Per questo motivo, Ronconi dice di non possedere né una didattica, né un metodo. Cerca, invece, di rapportarsi ad ogni attore, che è un caso singolo: avere un metodo presuppone che chi lo applica bene ottenga risultati eccellenti, anche perché, in caso contrario, sarebbe un metodo deficitario. Ma la garanzia totale non esiste. Cerca, piuttosto, di conoscere il più rapidamente possibile quali sono le potenzialità e le resistenze di ciascun allievo e li aiuta a liberarsi gradualmente di queste ultime, senza troppi schemi o pregiudizi. Nello stesso tempo, desidera comunicare che andare in scena e recitare è sì un dovere, una fatica, un impegno, ma anche un piacere. Che, però, non deve essere manifestato, altrimenti diviene compiacimento. La strategia migliore è cercare di volta in volta la pertinenza delle singole e specifiche circostanze e considerare bene il testo che si vuole realizzare, in rapporto al momento, agli attori e al pubblico.
Il lavoro di Ronconi con le attrici e con gli attori è un lavoro di esplorazione reciproca, dove si fanno
emergere gli aspetti nascosti e si usa il risultato per la scena, ma anche dove «la formazione non è solo quello che si è già imparato, è soprattutto il frutto delle esperienze fatte e la curiosità che si ha di farne altre. La vera formazione è il fare: lavorare con gli attori, condividere con loro delle esperienze. Esperienze attraverso le quali non so se si formano loro o se mi formo io».
Ronconi regista si ricollega a Ronconi attore, quando, infatti, da allievo all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, si interessava agli snodi della recitazione o dell’interpretazione, all’approfondimento del testo, o alla ricognizione di quelle che possono essere le ragioni del carattere del personaggio da interpretare, piuttosto che all’effetto di tutto ciò sul pubblico. Ciò che lo ha spinto a non fare più l’attore è l’essere troppo legato alla propria soggettività. Fare il regista, invece, porta alla oggettività, a cercare di conoscere le altre persone, a capire come sono, per poterci lavorare insieme. Insomma, tutto il lavoro registico obbliga continuamente a indagare nell’intimo delle altre persone, ad entrare nelle loro psicologie, che siano attori, attrici, o anche personaggi legati alla drammaturgia, con lo scopo di cogliere la loro identità. Nonostante, secondo Ronconi, non sia fondamentale essere prima attori per essere poi registi, è anche vero che provare in prima persona quali possano essere i meccanismi, le difficoltà, le resistenze, i piaceri e i dispiaceri dell’essere in scena è utile per lavorare con le attrici e con gli attori. Tutto questo porta a considerare la regia come una pratica più che come un ruolo.
A Ronconi, si è soliti associare l’elaborazione di un particolare tipo di recitazione, denominata, appunto, ronconiana, che prevede la decantazione del testo, in cui le caratteristiche linguistiche di un testo vengono esplicitate e valorizzate e non lasciate all’estro momentaneo dell’attore. Se, da un lato, questa recitazione è tangibile ad un primo ascolto, è anche vero che Ronconi non sente la necessità di usare questa espressione. Egli, infatti, preferisce riflettere sulla lingua italiana, dal momento in cui questa lingua ha in serbo una sintassi significativa, dalle mille sfaccettature: è una lingua elaborata, ricca, ma anche bugiarda, in cui bisogna sapersi destreggiare10. Lavorare sulla drammaturgia e sugli aspetti linguistici di un testo quale Sei personaggi, è, infatti, per delle giovani attrici e dei giovani attori come gli allievi della Silvio D’Amico, il terreno ideale sul quale mettersi alla prova.
Nella versione di Ronconi, del testo di Pirandello rimane solo il midollo e si va, così, ad eliminare tutti gli elementi superflui. Se Ronconi da un lato rispetta l’opera originaria, dall’altro ne scarnifica l’essenza, ne scompagina il testo dagli orpelli, dai cosiddetti ron ron raziocinanti pirandelliani. La sua non è un’attualizzazione, ma, contraendo l’azione, il regista procede dritto al nucleo più profondo. Il tormento dei sei Personaggi, che, partoriti dalla mente di uno scrittore, cercano disperatamente di essere vivi e di raccontare il loro dramma familiare, diventa allora concreto e riconoscibile nell’attualità. Oggi non c’è più distinzione tra ciò che è e ciò che appare, così come per Pirandello è impossibile distinguere tra vita e forma.
Con i sedici allievi, Ronconi lavora per tre estati a Santacristina, il centro teatrale di sua fondazione in Umbria, per arrivare al midollo di una commedia che resta comunque il perno della drammaturgia del Novecento. La pièce pirandelliana, alla sua prima rappresentazione nel 1921 al teatro Valle di Roma, risulta scandalosa, perché liberatoria: scardina gli schemi di tempo, spazio, identità dei Personaggi non per gusto della provocazione, ma per necessità. Pirandello è contemporaneo e, anche per questo, rappresenta un terreno fertile per Ronconi. Il lavoro del regista, dunque, si concentra sull’analisi dei Personaggi, in quanto frutto della mente dell’autore. Da qui l’intuizione che i Personaggi non hanno altra verità se non quella della mente che li ha immaginati. Non si tratta, dunque, di rappresentarli: in quanto astrazioni sono irrappresentabili. Si tratta di accedere alle modalità con cui si può stare nella testa di qualcun altro; l’uso di maschere in questo viene d’aiuto, in quanto significano l’essenza delle astrazioni: il rimorso per il Padre, il dolore per la Madre, la vendetta per la Figliastra, cui si aggiungono la renitenza del Figlio a partecipare e la dolorosa vocazione sacrificale dei due bambini, testimoni muti di un dramma che non capiscono, ma che finisce per distruggerli. La famiglia non si ricompone né si scoglie ma è destinata a ripetere eternamente lo stesso dramma, eternamente comparendo e scomparendo come nelle rappresentazioni rituali del mito. La scena teatrale, in questo, viene d’aiuto, in quanto è il tempio della impossibile comunicazione, nella quale i Personaggi rappresentano l’altro, il portatore di rancori e disagi, ai quali è stata negata la vita a causa della miseria del mondo; ombre, che annunciano una temporanea vita in palcoscenico, luogo per eccellenza in cui un’ombra diventa corpo vivente. Uno spazio della ricerca, aperto ad accogliere prima i motivi di ciascun Personaggio, poi quelli del conflitto, infine quelli dell’impossibile tragica separazione, sancita dalla presenza mitica del capro espiatorio contenuta nella morte dei due figli silenziosi, dimenticati dalla Madre, estranei e vittime del dramma. La scena teatrale è ora il tempio della impossibile comunicazione, nella quale dominano le forme estreme della comparsa-scomparsa e del dialogo-interruzione tra Personaggi e attori, nonché tra Capocomico, attori e suggeritore.
L’azione del dramma “senza atti né scene” viene, di fatto, interrotta due volte, una quando il Capocomico e il Padre si ritirano per concertare la scena da far recitare agli attori, l’altra quando per sbaglio il macchinista butta giù il sipario, vanificando così la canonica funzione dello stesso, che consiste nella momentanea separazione tra scena e pubblico e nel nascondere il retroscena. Qui il sipario cade anche come simbolico gesto censorio dell’incesto sfiorato. A riapertura del sipario, cambia la scena. Al centro starà la vasca da giardino, segno delle morti per annegamento della Bambina e per un colpo di pistola del Giovinetto, mentre tutti gli altri vivranno, ma nel segno del rifiuto reciproco. Subentra, così, un’altra manifestazione dell’estraneità, cioè il silenzio, la sottrazione della parola come anticipazione, oltre che causa, di ogni morte. Lo spazio della scena appare come l’unico, ma degradato, luogo di un evento che solo al primo apparire alla fantasia dello scrittore è stato vero, unico e non ripetibile, aspetto che, al contrario, caratterizza il teatro, come prova e come recitazione di un testo prescritto.
L’irruzione dei Personaggi in scena è la prova fallita di una serie di incontri che possono rivivere solo se immediati, colti nella loro imprevedibile tensione, in una sperimentazione di libertà ora impossibile. Anche su questo aspetto Ronconi riflette, dando ai protagonisti della rappresentazione una ricchezza di contenuto e la responsabilità di procedere col racconto, «mentre negli anni Cinquanta e Sessanta era naturale che il contesto di riferimento del testo fosse un certo tipo di teatro, quello del capocomico, del suggeritore, della verosimiglianza, oggi quello sfondo non c’è più. Questo libera la commedia da ingombri e manierismi diventati insopportabili. Da quando la realtà virtuale fa parte della nostra vita, la contrapposizione tra quello che è reale e quello che è immaginario, ha perso significato e i Personaggi non possono che apparirci ossessioni mentali, chimere nel cervello dell’autore. Ed è penoso sentirsi prigionieri del cervello degli altri. Ecco spiegato il loro dramma».
In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi di Luigi Pirandello
Spoleto, Teatrino delle Sei 7-13 luglio ore 18.00
14 e 15 luglio ore 15.00
diretto da Luca Ronconi
Assistente alla regia Luca Bargagna Padre Massimo Odierna / Luca Mascolo Madre Sara Putignano
Figliastra Lucrezia Guidone Figlio Fabrizio Falco Giovinetto Paolo Minnielli Bambina Elisabetta Misasi Madama Pace Alice Pagotto
Capocomico Davide Gagliardini Prima attrice Elisabetta Mandalari Seconda attrice Rita De Donato Primo attore Elias Zoccoli Secondo attore Remo Stella Suggeritore Andrea Volpetti Macchinista Andrea Sorrentino
impianto scenico Bruno Buonincontri
luci Sergio Ciattaglia
direttore di scena Alberto Rossi
produzione a cura di Roberta Carlotto
delegati alla produzione Claudia Di Giacomo, Maria Zinno, Elisa Ragni
produzione Accademia Nazionale d′Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e Centro Teatrale Santacristina
foto di scena Luigi Laselva
progetto realizzato nel triennio 2010-2012 dal Centro Teatrale Santacristina12
La vitalità del Centro Teatrale Santacristina
Non si può immaginare il lavoro di Luca Ronconi a Santacristina senza la presenza delle giovani attrici e dei giovani attori: le sessioni di lavoro del centro teatrale estivo, infatti, nato nel 2001 e collocato nella campagna umbra tra Gubbio e Perugia, privilegiano il rapporto con le nuove generazioni, grazie anche ad una costante collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma, diretta in quegli anni da Lorenzo Salveti.
A Santacristina, un piccolo innovativo sistema teatrale, si portano avanti obiettivi primari come quello di dare un contributo concreto e attivo al teatro attraverso la formazione professionale delle attrici e degli attori; si prova, di fatto, l’intera giornata e Ronconi ascolta, corregge, mette a confronto gli uni con gli altri e dà suggestioni. Per Ronconi, infatti, si tratta di distogliere gli allievi dall’idea di portare in scena sempre e solo se stessi, educandoli ad essere interpreti nel senso più pieno della parola e non maschere autoreferenziali13. Ronconi ha, infatti, da sempre concepito la didattica e il rapporto con le giovani attrici e i giovani attori non solo incentrata sulla trasmissione del proprio metodo di lavoro, ma soprattutto sulla possibilità di mettere l’attrice o l’attore nella condizione di saper analizzare profondamente un testo.
Dall’estate del 2015, in seguito alla morte di Ronconi, avvenuta all’inizio dello stesso anno, il Centro Teatrale Santacristina prosegue le attività per non disperdere l’eredità artistica di Ronconi e per coltivare il patrimonio che è stato creato in quegli anni, passando la direzione a Roberta Carlotto, co-fondatrice del Centro.
Si tratta di uno spazio di libertà: un luogo dove progettare, studiare e anche produrre, senza seguire le regole dei teatri e dove è possibile lavorare con una modalità che altrove sarebbe impossibile mettere in pratica. Santacristina, inoltre, non è una scuola di formazione, visto che viene vissuta anche da professionisti, ma è un luogo dove chi pratica e si occupa di una professione in ambito teatrale può essere interessato a dedicare del tempo. Considerare il teatro come espressione di un bagaglio personale, prima ancora che un mestiere, è uno dei punti di forza di Santacristina, reso possibile anche grazie a un ambiente favorevole alla creatività: non solo per il paesaggio naturale in cui è immersa, tra boschi e sentieri, ma per la cura, secondo cui tutto è predisposto: i libri della biblioteca, i film raccolti nella videoteca, le occasioni di incontro, ma anche di riflessione. La vera formazione, dunque, non riguarda solo quello che si è imparato, ma anche il fare e, quindi, lavorare con le attrici e con gli attori e condividere con loro delle esperienze. Contemporaneamente alla formazione, il Centro Teatrale Santacristina, è impegnato nel progetto di raccolta e documentazione della produzione artistica di Luca Ronconi, allo scopo di conservarne e valorizzarne la memoria attraverso il continuo ampliamento del sito dedicato interamente all’attività artistica del regista, www.lucaronconi.it, e dell’Archivio Ronconi, conservato presso l’Archivio di Stato di Perugia.
Il lavoro svolto sulla pièce pirandelliana, Sei personaggi in cerca d’autore è, in particolare, da considerare un vero work in progress per Ronconi: lo studio sul testo avviato a Santacristina nella sessione laboratoriale del 2010, arrivato nel 2011 ad analizzare il secondo atto, è destinato a diventare l’anno seguente uno spettacolo teatrale. Nonostante il testo sia datato, però, funziona ancora, mentre il teatro nel teatro appartiene ad una dimensione che non c’è più. Il punto di partenza è, di fatto, Santacristina e, quindi, la sala prove semplice e spoglia. Senza più palcoscenico, appare evidente che quei Personaggi vivono nella mente di chi li ha creati, che sono rappresentazioni della mente dell’autore e che non possono avere nessun tipo di concretezza. Si giunge, così, alla conclusione che è penoso sentirsi prigionieri del cervello degli altri: questo è il dramma di Pirandello.
La preparazione copre tre anni di lavoro e avviene in un tempo e in un luogo specifico, ovvero estate e Santacristina. Non si tratta, infatti, solo di un periodo necessario per mettere in scena un’opera, ma anche di uno studio sul lavoro e sullo spettacolo. Il titolo che porta lo spettacolo, In cerca d’autore, rispecchia il lavoro svolto a Santacristina: è un autentico work in progress, condotto da Ronconi, profondo conoscitore del teatro, oltre che dell’uomo, e interessato all’uso della lingua italiana, nei suoi risvolti più sottili e nascosti. Scelta del tutto sperimentale, ma che rimane fedele all’approccio testuale ronconiano, come è sperimentale la scelta delle attrici e degli attori che sono allieve e allievi dell’Accademia Silvio d’Amico e che, non avendo ancora raggiunto una maturità artistica, sono più propensi a poter esprimere visceralmente la dimensione alienata dei Personaggi.
L’esito finale, messo in scena nel 2012 al Teatro delle Sei di Spoleto all’interno della 55° edizione del Festival dei Due Mondi (e nato dalla produzione del Centro teatrale Santacristina con l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma e con la collaborazione del Piccolo teatro di Milano), è il punto d’arrivo di un laboratorio sperimentale iniziato nell’estate di tre anni prima. Il teatro, in questo caso, è uno spazio spoglio e ridotto al nucleo della sua essenza: un unico ambiente che si sviluppa sotto le volte a botte del palcoscenico sotterraneo; un corridoio quasi privo di arredi, ma dove prospettive e geometrie si ribaltano inaspettatamente. È evidente che Ronconi ha voluto riportare in scena l’aula di Santacristina dove lo spettacolo è nato, e quindi un lungo spazio bianco, disadorno e arredato solo da una piccola scrivania e da alcune sedie di metallo. La vicenda si rivela per ciò che è: una complicata situazione famigliare, come si capisce dall’ingresso delle sei figure, tutte vestite di nero, che si muovono rasente i muri, ciascuna per conto proprio, tutte annodate su se stesse. Le battute pronunciate da alcuni Personaggi, poi, non servono solo a portare avanti la sinossi, ma svelano continuamente i Personaggi stessi, che man mano agiscono, nonostante possano sembrare solo delle marionette che svelano il loro dramma. L’autore che li ha creati vivi non ha voluto o non ha potuto metterli al mondo dell’arte ed è un vero delitto perché chi ha la ventura di nascere Personaggio vivo può ridersi anche della morte: il dramma è in loro, il copione è in loro, urge rappresentarlo così come urge la passione. Ogni Personaggio è impregnato dalla vergogna per la colpa che si porta addosso e dall’irrefrenabile desiderio di apparire. La scena, poi, è sdoppiata: da una parte ci sono gli attori, che rivendicano il loro spettacolo, dall’altro i Personaggi che raccontano e vivono il dramma. È la percezione di una realtà multipla, una questione che riguarda l’oggi e il fare teatro. In una sala disadorna, attrici e attori sono poco più che ombre rispetto alla drammatica carnalità dei Personaggi. Sono questi, inoltre, a misurarsi con l’autore, in un conflitto senza maschere: fantasmi che hanno un corpo e una libido, che esibiscono e sbeffeggiano, come nelle lacrime della Madre o nella ipocrita moralità del Padre, tutti messi al muro della scrittura dal corpo indomabile della Figliastra, vulcano luttuoso e passionale. I Personaggi, poi, non danno spiegazioni: sono figure fantasmagoriche che si rivelano a poco a poco. E, infatti, è proprio la loro fisicità a caratterizzarli e a marcarli visivamente; ma non solo, quello che può sembrare solo materialità, rappresenta, invece, il loro modo di essere e, quindi, di mostrarsi. Questa presenza prorompente permette di procedere nel racconto e definisce anche il rapporto tra i protagonisti e il loro modo di comunicare e interagire. Si compiono, così, visivamente, gli insegnamenti di Ronconi sul piano della recitazione, soprattutto quando emerge il lavoro accurato e per nulla sfuggente, su ciò che il testo trasuda, ma che il più delle volte rischia di rimanere materia grezza.
Bibliografia
AGOSTI, GIOVANNI (a cura di)
2019 Luca Ronconi. Prove di autobiografia, Feltrinelli, Milano.
ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA (ASPg)
Ronconi Luca, serie 2.1, busta 41, fasc. 75-79.
CAPITTA, GIANFRANCO-RONCONI, LUCA
2012 Teatro della conoscenza, Laterza, Roma-Bari.
DAVICO BONINO, GUIDO (a cura di)
2014 Luigi Pirandello. Sei personaggi in cerca d’autore, Einaudi, Torino.
LENTI, MADDALENA
2011 Luca Ronconi. Un’idea di teatro, Mimesis, Milano-Udine.
Sitografia
Centro Teatrale Santacristina http://www.ctsantacristina.it/
Luca Ronconi https://lucaronconi.it/
Piccolo Teatro di Milano tv Teatro d’Europa
https://www.piccoloteatro.tv/in-cerca-dautore-studio-sui-sei-personaggi-1
Abstract-ITA
Questo articolo vuole illustrare il lavoro artistico e registico di Luca Ronconi (1933-2015) sulla messa in scena del testo di Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, rappresentata per la prima volta al Teatrino delle Sei di Spoleto (Pg) il 7 luglio 2012. L’elemento innovativo dello spettacolo è dato dal gruppo di attrici e attori, ancora in corso di studio, che Ronconi ha diretto nel corso di tre estati (2010- 2012) al Centro Teatrale Santacristina in un corso di recitazione intensivo.
Abstract- ENG
This paper aims to give an overview on Luca Ronconi (1933-2015) artistic and direction work on the performance based on Pirandello’s play, Six characters in search of an author, represented for the first time on 7th July 2012 at Teatrino delle Sei in Spoleto (Pg). Particular element of this performance
regards actresses and actors, who haven’t graduated yet, who are directed by Ronconi in intensive acting course during three summers (20120-2012) in Santacristina theater centre.
LUDOVICA MARANGIONE
si laurea nel 2020 nel corso magistrale di Discipline della musica e del teatro presso l’ Università di Bologna in letteratura teatrale italiana. La tesi Sei personaggi in cerca d’autore. Dal testo di Pirandello allo studio di Ronconi vuole mantenere viva la memoria del regista ed è frutto di un lavoro di ricerca avvenuto tra Bologna e Perugia nel 2020.
LUDOVICA MARANGIONE
obtained a master’s degree in Drama, Art and Music Studies at University of Bologna in 2020. The thesis, in Italian theater literature, Six characters in search of an author. From Pirandello play to Ronconi performance, aims to keep the director’s memory alive and it is a work based on a research between Bologna and Perugia in 2020.
Ludovica Marangione