Quando partecipare conta più che vincere: l’ultima gara di Federica Pellegrini

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Nel cuore della notte italiana – mattino in Giappone, per via delle sette ore di differenza di fuso orario – del 28 luglio, al Tokyo Aquatics Centre è andata in scena l’attesissima finale olimpica dei 200 metri stile libero femminile di nuoto. A vincerla è stata la ventenne australiana Ariarne Titmus, argento per Siobhan Haughey (Hong Kong) e bronzo per Penny Oleksiak (Canada). Tutto molto bello ma, almeno per una volta, le luci della ribalta non si sono concentrate sulle vincitrici, come accade di solito, per andare invece a posarsi sulla settima classificata: la nostra Federica Pellegrini.

La “Divina” ha legittimamente rubato la scena alle giovani colleghe medagliate per almeno due buoni motivi: il primo è che questa è stata la sua ultima gara individuale (le restano ancora le staffette), degna chiusura di una carriera leggendaria e inimitabile che l’ha resa un’icona del nuoto, oltre che una vera e propria ambasciatrice dello sport italiano nel Mondo; il secondo, altrettanto importante – se non di più -, è che a Tokyo ha raggiunto la sua quinta finale olimpica consecutiva nella stessa specialità natatoria: un’impresa riuscita in precedenza soltanto all’“extraterrestre” Michael Phelps, l’atleta con più medaglie olimpiche nella storia dei Giochi.

A quasi 33 anni – li compirà il prossimo 5 agosto – Federica ha deciso di appendere il costume al chiodo; non prima, però, di regalarsi l’ultima impresa sportiva, che ha fornito l’ennesima prova della sua straordinaria longevità. Una longevità che non cade certo dal cielo, ma che è frutto della disciplina, della professionalità e dell’amore attraverso cui ha consacrato tutta se stessa al nuoto per quasi trent’anni.

Dopo l’oro conquistato ai Mondiali coreani di Gwanju nel 2019, sempre nei “suoi” 200 metri (quarto titolo iridato in questa specialità e secondo consecutivo dopo quello di Budapest 2017), a trent’anni compiuti Federica aveva cullato concrete prospettive di gloria in vista dell’Olimpiade giapponese. Purtroppo, nessuno poteva prevedere l’imminente pandemia e il conseguente rinvio dei Giochi al 2021. Un rinvio che, in uno sport faticoso e usurante come il nuoto, non è stato certo favorevole per un’atleta trentenne, che ha quindi dovuto mettere in conto la possibilità di ridimensionare le proprie ambizioni olimpiche.

E così poi, purtroppo, è stato, ma Federica, dall’alto della sua esperienza, ha capito e accettato la situazione, ed è per questo motivo che l’obiettivo primario della sua quinta olimpiade è diventato, legittimamente e serenamente, “solo” quello di partecipare e arrivare in finale: e, di nuovo, così è stato! Un risultato clamoroso, che vale come una vittoria, considerando che la “Divina” è sulla breccia da vent’anni, fieramente ribelle alle ingiurie del tempo, che ha combattuto con tutte le sue forze finché le è stato possibile. Giovanissima, ha messo in riga avversarie più esperte e quotate – come il suo “mito”, la tedesca Franziska van Almsick -, da adulta ha saputo respingere più volte gli assalti delle “nuove leve” rampanti che ambivano a spodestarla dal trono. Mai nessuna come lei prima, difficilmente altre come lei dopo.

Dall’argento olimpico conquistato appena sedicenne ad Atene 2004 – che avrebbe potuto essere oro se solo avesse avuto a disposizione una visuale migliore della corsia in cui nuotava la rumena Potec, che poi l’ha battuta -, Federica ha fatto il bello e il cattivo tempo nella sua disciplina, tra apoteosi di medaglie con annessi record europei e mondiali (Roma 2009) e inattese delusioni olimpiche (Londra 2012 e Rio 2016). Un percorso mai lineare e banale, fatto di trionfi, cadute, crisi (come quella conseguente alla scomparsa dell’allenatore Castagnetti nell’ottobre del 2009) e resurrezioni degne dell’araba fenice che porta tatuata sul collo. Tutto questo ha fatto di lei l’indiscussa regina dei 200 metri stile libero. In mezzo a cambiamenti di ogni tipo (avversarie, allenatori, piscine, regole e costumi), lei è sempre rimasta sulla cresta dell’onda; soprattutto, lei c’è sempre stata, unico punto fermo di un panorama in costante evoluzione. E, a dispetto delle novità, non sempre facili da assimilare, ha continuato imperterrita a vincere, spinta dal suo insaziabile desiderio di farlo.

Con il suo ritiro si chiude un’epoca per il nuoto e per tutto lo sport italiano, inutile negarlo, ed è quindi giusto celebrare l’avvenimento con enfasi e – perché no – anche con un po’ di retorica. Nel nuoto ci sono state atlete più vincenti di lei, d’accordo, almeno in ambito olimpico, dove Federica ha raccolto meno di quanto meritasse (il suo unico oro, quello di Pechino 2008, continua comunque a splendere più forte che mai e rimane a tutt’oggi l’unico oro olimpico del nuoto femminile italiano); ma nessuna è riuscita a unire competitività e longevità come la “Divina”. Le va inoltre riconosciuto un altro merito, cioè quello di essere riuscita a far coesistere “mondanità” e dimensione sportiva senza mai permettere alla prima di condizionare negativamente la seconda, con buona pace di chi ha criticato a prescindere le sue scelte in fatto di esposizione mediatica e presenza “social”. D’ora in poi, anche se non potremo più vederla difendere i colori dell’Italia in piscina, ce la godremo come mito vivente dello sport azzurro, giustamente celebrato anche dalla “Gazzetta”, che le ha dedicato uno dei libri monografici della collana I miti dello sport.

Francesco Vignaroli

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