Follia e dramma sociale nei bassi partenopei. Il bravo Antonello De Rosa incarna palpitanti personaggi in “Traccia di Mamma” di A. Ruccello

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Giardini della Filarmonica Romana

La capacità di far vibrare l’anima e la deriva mentale nei disperati protagonisti del testo dell’indimenticabile scrittore napoletano, morto giovane e con una discussa esistenza condannata da dei conformisti etici,è stata raggiunta in pieno nella ristrutturazione e scansione in quattro veloci e sensitivi monologhi, di cui si sono apprezzate specialmente le polifonie tonali dei protagonisti tratti dall’umile plebe dei vicoli del rione Sanità. Le donne dell’adattatore sono senza futuro ,condannate implacabilmente al dolore ed all’autodistruzione ,non c’è mai un momento positivo e si può affermare che l’alienazione derivi dalla crudele e triste memoria ,da incubi spesso reali .Ne scaturisce dunque un linguaggio feroce, spietato ed urlato senza una pausa,in cui la gestualità e la tonalità della voce permettono di leggere ed intuire più di quanto espressamente significhino .Il più valido dei monologhi è quello in cui la madre di Adriana ,abitante al quarto piano di un decrepito palazzo, condanna pregiudizialmente la figlia minorenne che, uscendo d scuola, s’è innamorata d’un apprendista della carrozzeria di fronte che non solo vive d’espedienti, ma per giunta risiede in un sottoscala e perciò danneggia la loro già misera condizione sociale con la relativa reputazione .Il sommario processo di rifiuto della maternità della figlia si conclude con la sida a costei ed uccidersi per salvare l’onore della famiglia ed Adriana non se lo fa dire due volte lanciandosi nel vuoto, così da sbagliare in quanto la vita è un dono di Dio di cui non possiamo disporre a piacimento e che dunque va sempre promosso e tutelato, come testimoniano le madri afghane che tentano di porre al sicuro almedno i figli dandoli agli occidentali ed agli americani all’aeroporto di Kabul. Forse si può identificare con lei, diventata pazza per il tardivo irreparabile dolore amaro inflittole dal gesto, la delirante nella tunica usata come camici a di forza che ,nel manicomio dove le suore l’assistono ,è contraria alle false apparenze perbeniste delle consorelle ed ai loro pettegolezzi. La solitudine ed il bisogno d’amore di questi tragici esseri è testimoniata da “ La telefonata”, ripresa da J .Cocteau ,in cui si cerca di nuovo il vecchio amante, mentre anche la folle ,che ritiene d’essere la Madonna ,immagina d’avere un bambino e lo pone accanto a sé ,durante la monotona e formalistica religiosità delle monache che sono spiritualmente carenti ed assomigliano a quelle del convento che accolse per convenienza Gertrude de Leyra nel Seicento nel capolavoro storico dell’epopea degli umili e della PROVVIDENZA del sommo A .Manzoni, cui il genio di G. Verdi dedicò per riconoscimento la Messa da “Requiem” .Siamo quindi con tale follia blasfema al limite del sacrilegio ,che si raggiunge con la Vergine ridotta ad una bambola e con l’amore per se stessi ed il prossimo che viene totalmente ignorato ,anzi vilipeso ,offeso e denigrato come discriminazione di genere e per un malinteso rispetto civile .I costumi rispondenti alla bassa categoria ritagliata dei personaggi erano di Liana Mazza ,con l’allestimento essenziale del palco da parte di Scena Teatro.

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