Donizetti Opera 2021
La sera seguente, scesi in Città bassa, i festeggiamenti toccano al rinnovato Teatro Donizetti, riaperto dopo tre anni di lavori di restauro. Atmosfera di festa si respira già fuori, dove una compagnia di musicanti e guitti, intrattiene passanti e curiosi appassionati, con uno spettacolino di burattini. Lo stesso “maestro delle cerimonie” si ritrova poi in palcoscenico, intento a far cantare il pubblico in sala, invitandolo a unirsi al Coro in un punto dell’opera. Gran sventolio di bandiere gialle e rosse, colori della città, rendendo omaggio a Bergamo per la passata sofferenza e lietamente festeggiarla col ritorno a teatro. Il sipario si apre su L’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, proposto in questa edizione del Festival in una versione integrale, mai ascoltata in Italia. Ripristinate le tonalità originali ed eseguita su strumenti storici, cercando di rifarsi il più possibile a quello che doveva essere il suono orchestrale al tempo del compositore.
L’Elisir d’amore. E’ una storia di buon senso, che Felice Romani trasforma con finezza psicologica in palpitante libretto. La ragione si burla delle superstizioni del popolo: solo uno stolto può credere all’esistenza di un filtro amoroso. Questi è Nemorino, l’interprete principale di un’opera buffa, sì, ma con una dominante sfumatura sentimentale che traspare sulla nota di allegria e umorismo. In nessun’altra commedia romantica si trova lo struggente patetismo di brani come “Adina credimi” e “Una furtiva lagrima”. Una bella favola di campagna dove l’onestà del sentimento vince sull’impostura, e con una morale molto pratica: meglio un sempliciotto ma devoto marito, che un bellimbusto vanitoso e farfallone. L’Elisir è un’opera in due atti rappresentata per la prima volta al Teatro della Canobbiana a Milano il 12 maggio 1832: fu un vero trionfo e decretò la conquista di Donizetti della capitale lombarda. Entusiastica la recensione sulla “Gazzetta Privilegiata di Milano” due giorni dopo la prima. Talmente entusiastica da lasciare Donizetti incredulo e un po’ perplesso, scrivendo (con la modestia che sempre lo contraddistinse) al suo maestro Mayr: “La Gazzetta giudica dell’Elisir d’amore e dice troppo bene, troppo, credete a me, troppo!”. L’Elisir d’amore è una partitura che segnò una svolta nel modo di concepire l’opera comica, prendendo le distanze dai modelli buffi napoletani con personaggi ben tipizzati, ma anche da quelli rossiniani, così enigmatici. In questo lavoro si compie un’umanizzazione dei personaggi, con tratti psicologici più marcati per trasformarli in “tipi” più vicini a noi, con pregi e difetti umani. Opera felice: mai il Maestro aveva raggiunto con mezzi tanto semplici tale leggerezza e grazia, ossia la perfezione. Da qui inizia il periodo glorioso di Donizetti. L’Elisir ha due secoli quasi di vita, ma si presenta allo spettatore odierno sempre fresco, soprattutto in quei pezzi dove la fluidità delle modulazioni lo rende unico nel suo genere. L’opera realizzata in pochi giorni (si pensa a due settimane, per far fronte ai disagi economici della Canobbiana) è un capolavoro comico, destinato a diventare un classico. Grande la celebrità della romanza Una furtiva lagrima, perfetto equilibrio di melodia e sentimento, cavallo di battaglia di generazioni tenorili. La trama è il geniale incontro fra comici italiani (il Dottore, il Soldato, la Possidente, l’Amoroso) e psicologismo sentimentale francese. Il protagonista, un contadino nullatenente, Nemorino, riesce a trasformare la propria povertà in poesia. La poesia lo rende libero. E ricco. La metamorfosi avviene sul palcoscenico. Quando si apre il sipario, ci troviamo davanti un servo ridicolo; ma è sufficiente una lacrima o una mosca, un po’ di vino, un gesto minimo insomma, perché un essere goffo e sgraziato si trasformi in un personaggio a tutto tondo, un soggetto simpatico. Nemorino, può essere facilmente paragonato a Donizetti e di riflesso ad Arlecchino: un artista è capace di cambiare la fame in Arte. Il compositore di Borgo Canale e Arlecchino possiedono tratti comuni di origine e misera condizione, dal vulcanico ingegno e irrefrenabile attivismo alla poliedrica adattabilità. Ambedue girano il mondo portando l’Arte. Il loro viaggio teatrale parte da Venezia per terminare in Francia, nella Parigi cosmopolita. Da Parigi attingono storie, forme nuove, ma anche inaspettati riconoscimenti. Donizetti stesso sembra rispecchiarsi nella maschera: in alcune lettere si definisce esplicitamente «compositore arlecchino».
Lo spettacolo di Frederic Wake-Walker vuole ricostruire il clima di coinvolgimento sociale che caratterizzava il melodramma in Italia nell’ottocento, ambientando la scena sotto Portici del Sentierone, antistanti al teatro. Semplici gli elementi, costituiti da fondali creati da Federica Parolini, con pochi elementi di arredo, unitamente alla baracca dei burattini vista fuori. Costumi di Daniela Cornigliano, che spaziano dal moderno allo stilizzato al fantastico dei bimbi, contraltare dei personaggi maggiori. La regia risulta alla lunga prevedibile, infarcita di trovate e luoghi comuni. Nemorino era Javier Camarena, sapido attore offre in scena un giusto phisique du role, che gli permette di essere un giusto stolido, giocando al sempliciotto, sfoggia una voce dal timbro caldo e pieno, striata da una vena malinconica che calza al personaggio, sapendo anche essere passionale e partecipe. Bella linea di canto, capace di smorzare senza sbiancare, struggentemente patetico nell’aria “Adina aspetta”, ma non al meglio nel rifinire le colorature. Buona la sua “Furtiva lagrima”, più per il canto che per l’’interpretazione, non ancor interiorizzata, salutata da un diluvio di applausi.
Adina è Caterina Sala, voce lirica dal leggero vibrato, brava a smorzare e modulare, è interprete convincente; inizialmente altezzosa si piega alle leggi del cuore e dell’amore, mostrando con Belcore anche il lato “coquette”. Al meglio quando può dispiegare la voce, risulta invece più puntuta nella recitazione; nell‘allegro finale Sappilo alfine/il mio rigor dimentica, mercé il sovracuto sparato sugli spettatori, raccoglie vere e proprie ovazioni. Belcore bel timbro di piacevole omogeneità, incarna perfettamente la figura del sergente militare, favorito da un bel personale. Il Dulcamara del veterano Roberto Frontali tende al parlato più che al veloce sillabato; si apprezza per l’azione scenica, che compensa un mezzo vocale non più fresco con brillante intuito teatrale e una verve interpretativa apprezzabile. Giannetta di Anais Mejias sempre vocalmente spinta. Efficace il Coro Donizetti Opera diretto da Fabio Tartari. Da citare la simpatia e la comunicativa del Maestro di cerimonie di Manuel Ferreira. I burattini in scena erano di Daniele Cortesi.
Infiammata e teatrale la prova del Direttore Riccardo Frizza, scattante alla guida dell’Orchestra Gli originali, pur con qualche scollamento tra buca e palcoscenico. Accoglienza trionfale. 19 novembre. Teatro Donizetti.
gF. Previtali Rosti