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Scintillante “Fille di régiment”… Donizetti Opera 3

Data:

Il 21 novembre 2021 al Donizetti Opera Bergamo

A Parigi era tradizione, nel giorno della presa della Bastiglia, veder La Fille du régiment regolarmente messa in scena all’Opéra-Comique, teatro popolare in cui gli spettatori prevalentemente di estrazione borghese, accorrevano per rivivere le vicende di Marie, vivandiera del 21° Reggimento e dei suoi compagni, allegramente infiocchettati con coccarde tricolori e patriotticamente inneggianti alla Francia, al suono dei rutilanti “rataplan” cantati nell’opera. Dramma giocoso in due atti, musica di Gaetano Donizetti su libretto di Jean Francois Bayard e Jules Henry Vernoy de Saint Georges, andò in scena per prima volta al Théâtre de l’Opèra Comique di Parigi l’11 febbraio 1840. Scritta in un genere che alterna al canto ampi squarci di recitazione (raramente tentato da compositori non di lingua francese), sfortunatamente l’opera inizialmente non incontrò un gran successo. Forse da attribuire alla protagonista, tal Maria Borghese o Bourgeois, debuttante a Parigi dopo una brillante carriera nei teatri italiani, che non si rivelò all’altezza delle difficoltà dello spartito (pur essendo stata indicata personalmente da Donizetti) deludendo le attese. Le recensioni furono per la verità, abbastanza lusinghiere e blandamente adulatorie: rimarcando la raffinatezza e il canto malizioso, non bastanti a conquistarle i favori del pubblico parigino. Peggio il tenore Mariè, un Tonio ritenuto fuori parte. Gli effetti militareschi della musica, su cui poggia gran parte della caratterizzazione dell’opera, non piacquero completamente, tanto che Berlioz, sempre velenoso quando si trattava di giudicare i colleghi, accusò Donizetti di aver riproposto, dopo i dovuti camuffamenti, un’opera caduta in Italia: Betly o la capanna svizzera. Il compositore bergamasco pubblicò una smentita sui giornali parigini, negando che tra le due partiture ci fosse correlazione. Otto anni più tardi, morto il musicista, i parigini compresero il valore della Fille du régiment, amandola poi profondamente. Cambio d’opinione tardivo: nel frattempo alla partitura erano arrisi successi in Italia, Germania, Inghilterra, e nella stessa provincia francese. Opera brillante, costellata di arie “rullanti”, accompagnate da tamburi e fanfare militari, in cui l’azione ruota attorno a un’eroina briosa e piena di vita, attorniata da caratteri comici simpatici e bonari, come il vecchio Sergente Sulpice del 21°. L’azione ha luogo fra i monti del Tirolo svizzero, verso il 1815, nel periodo delle guerre napoleoniche. L’incantevole e affascinate ruolo di Marie è stata uno dei favoriti delle grandi primedonne del XIX e XX secolo, tra le più famose Henriette Sontag, Adelina Patti e l’adorata Jenny Lind, rappresentata spessissimo nelle stampe ottocentesche nelle vesti della vivandiera del reggimento. Nel secolo appena trascorso ricordiamo Lina Pagliughi, Joan Sutherland, Beverly Sills, ma anche Mirella Freni e Natalie Dessay. Nuovo l’allestimento, creato dal Donizetti Opera in coproduzione con il Teatro Lirico Nacional de Cuba, a firma del regista Luis Ernesto Doñas che in accordo con le scene di Angelo Sala, sposta, con non poche incongruenze librettistiche e tirati parallelismi con la guerra dei barbudos di Fidel Castro, la scena della vicenda a Cuba. Il primo atto, coloratissimo nei motivi caraibici e in un’esagitata estroversione (non sempre rispettosa delle esigenze del cantante) sovraccarica la vicenda mentre il secondo atto, più stilizzato nelle scene e rutilante negli splendidi costumi alla “My fair lady” riesce più godibile. In omaggio all’edizione già andata in scena a Cuba, si è sentito il bisogno di inserire nella partitura il timbro di una percussione (un bongo), stridente con il tessuto orchestrale donizettiano. Nuovi anche i dialoghi, di Stefano Simone Pintor; giustificati all’Avana, ma a Bergamo suonano spesso gratuitamente fuori luogo: bastano musica e canto solo, evocativi di vicende e stati d’animo. Lo stesso dicasi dell’inserimento, nella “lezione di canto”, dell’El arreglito di Sebastian Yradier (il cui tema fu utilizzato – o per meglio dire “rubato” – da George Bizet per la Habanera di Carmen). Notevole la parte musicale, a cominciare dal giovane Maestro Michele Spotti, che asseconda le voci con finezza e spirito, con una direzione ricca di vitalità e brio, scintillante e piena al tempo stesso. Sul palcoscenico la consumata maestria del veterano Paolo Bordogna, Sulpice gustoso e molto ben calibrato, dallo strumento vocale omogeneo e in ottima forma. John Osborn, ben consolidato nel personaggio di Tonio, è riuscito ad essere ancora sorprendente, non solo e non tanto per la lunghezza dei fiati e l’ottava alta privilegiata, che fa valere in Pour mon ame, la famosissima aria dai nove Do – impavidamente bissata a furor di popolo senza apparente sforzo e con la medesima resa vocale – ma anche quale interprete di credibile e intatta partecipazione. Tenero e partecipe, significa ogni parola, convincente nel duetto Depuis l’ìnstant e amoroso nel successivo ensemble A cet aveau si tendre, tocca momenti di pura commozione in Pour me rapprocher de Marie.  Ma la vera sorpresa della serata è stata la Marie di Sara Blanch, voce “piccola” ma timbratissima, ben proiettata, che “corre” per tutto il teatro per la perfetta impostazione, di una musicalità che la mette a suo agio di fronte a qualsiasi asperità vocale presente in partitura. Nel duetto iniziale con Sulpice, complice il timbro gaio, sprizza allegria e gioia di vivere, sempre varia e sapida nei recitativi trova sfumature giuste per ogni frase, diventando palpitante in Au bruit de la guerre e festante nel rondò Chacun le sait. Le agilità sgorgano nitide e fluide, sempre impeccabili. Struggente in Il faut partir sa trova accenti di lancinante malinconia, in lineare arcata sonora. Una forte carica di comicità la contraddistingue nel trio Le jour naissait dans le bocage, esatta e studiata nelle esilaranti stonature. Altra punta di diamante la resa di Par le rang et par l’opulence dove sfoggia ricchezza di colori, accenti di rapinoso canto elegiaco. Conclude con il pirotecnico Salut a la France a metter in mostra il brillio di una coloratura mai fine a se stessa, sempre resa a fini interpretativi. Adriana Bignagni Lesca era una Marquise de Berckenfield dal rigoglioso e lussureggiante strumento vocale, accostando una recitazione sapidissima e divertita alle innate doti di attrice, sprizzante teatralità da tutti i pori. Nella scena di canto rende, appassionatamente, la “habanera” aggiunta di Sebastian Yradier, El arreglito. Efficace Hortensius di Haris Andrianos; da segnalare il Caporal dal timbro rotondo e voce potente di Adolfo Corrado, mentre Cristina Bugatty riduce La Duchesse de Crakentorp a una macchietta caricata. Successo calorosissimo per tutti, con punte di puro entusiasmo per Osborn e ancor più, per la protagonista Sara Blanch. Al Teatro Donizetti di Bergamo, recita del 26 novembre.

gF. Previtali Rosti

Foto Gianfranco Rota

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