GIANDUJA, LA STORIA DELLA MASCHERA DEL PIEMONTE

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Dalla Maschera… alle mascherine, sarebbe stato il titolo di questo articolo, ma noi non desideriamo spendere altre parole alle già tante scritte su questo argomento… perciò, prima di entrare nel vivo del titolo di questo reportage dovremo fare chiarezza come nasce… giacchè la nascita del Carnevale è antecedente alla maschera!

Il tempo è remoto, si parla già del carnevale sin dal medioevo, il suo periodo è instabile come era il suo trascorso, poichè è legato alla data della Pasqua, infatti proprio per questo motivo la chiesa vietava nel periodo della Quaresima, di togliere dalle tavole la carne: Carne Leva = Carnevale, ammesso che ci fosse, usanza che proseguì anche in epoche più recenti.

Sono tante le maschere italiane vere o inventate, una più simpatica dell’altra, compito non facile dalla persona che interpreta il personaggio, è proprio durante il carnevale che si apprezza la persone che si presta ad indossare quei panni. Non siamo al corrente di quante siano le maschere, ogni regione ha la propria, circondate da quelle dei paesini che ruotano intorno al capoluogo, altrettanto significative. Noi per scelta vi presentiamo quella piemontese, precisando che le storie raccontate su detta maschera del Piemonte, sono numerose, tutte da sembra vere, detto questo descriveremo la nostra “verità“.

Pare che un tal Gioann (Giovanni in piemontese) guardandolo, aveva l’aspetto gioioso e bonario con il vizio di bere, non ci voleva la deduzione del famoso Sherlock Holmes, nell’aggiungere al suo nome un appellativo, bastava guardarlo per comprenderlo, un soggetto dall’aspetto paffutello, in mano sempre la sua doja (un boccale, sempre in piemontese) con dentro del vino. Trecento anni orsono inizia la sua storia nella terra astigiana, dove i contadini si conoscevano non per nome, bensì per i soprannomi ricevuti dalla gente del luogo… anche al nostro protagonista rubicondo e allegro gli affibiarono il nome di Gioann dla Doja, col passare del tempo il nome si unificò diventando: Giandoja.

Questa simpatica persona (pare sia realmente esistita), vestiva con abiti tradizionali del piemontese medio di fine settecento, indossava pantaloni in tessuto fustagno di color marrone che arrivavano sopra le ginocchia, calzettoni rossi, sul dorso delle scarpe grandi fibbie ed il tacco colorato di rosso (interessante è la storia di quel tacco colorato che piaceva molto al “Re Sole“). L’immancabile panciotto di color giallo, una parrucca con codino trattenuto da un nastino verde… dove non poteva mancare il cappello… un tricorno adornato di una coccarda tricolore… passando le giornate nelle osterie a bere. Ad ogni maschera italiana, si affianca senpre una figura femminile con un ruolo ben definito, nel caso di Giandoja fu accompagnato da Giacometta, ma questo avvenne solo dopo l’Unità d’Italia, anch’essa veste abiti dell’epoca, indossando un’ampia gonna lunga, camicetta e scialle, il capo è coperto da un alto copricapo.

Siamo certi, almeno una volta vi sarete domandati come siano nate le maschere italiane, per tentare di rispondere vi diremo come sia nata la maschera del Piemonte, attribuendone il merito a due burattinai: Giovanni Battista Sales e Gioacchino Bellone. Il personaggio reale, era talmente gioviale che pensarono di aggiungerla nel loro vasto repertorio marionettistico chiamandolo con un nome insolito: Gironi… Questa marionetta, parlando col la voce dei due creatori, anzicchè produrre celebrità, portò loro non pochi problemi, per il fatto che la marionetta, si esprimeva senza peli sulla lingua come si usa dire, pur mantenendo un linguaggio gentile, molto pungente nei confronti dell’Autorità e i suoi amministratori!

Il linguaggio del ”Gironi” non piaceva al Doge di Genova, tanto meno quando si parlò male del fratello di Napoleone durante la sua permanenza a Torino. Quest’ultimo rinchiuse i due burattinai nelle Porte Palatine (esiste ancora una parte del carcere nei pressi di Porta Palazzo, ora si possono ammirare solo le due torri) in attesa di giustiziarli… per aver calunniato le nobili persone.

Il destino per i due burattinai era segnato… se non fosse per un fatto insolito, giacché riuscirono a evadere salvandosi dall’impiccagione rifugiandosi nei pressi di Callianetto del Monferrato (AT) in un cascinale, ora conosciuto da molti come il Ciabot d’Gianduja… Ma questa è un altra storia…

Una tradizione che diede inizio a celebrazioni cittadine con l’apertura del Carnevale riabilitando la maschera, facendolo sfilare davanti ai Carri Allegorici e presenziare con il Sindaco per la benedizione dei pani durante la festa di San Giovanni, Patrono della Città di Torino e l’immancabile accensione del Farò. In città esistono da tempo due associazioni che portano avanti la tradizione della maschera di Gianduja: Quella della longeva Famija Turineisa e l’Associassion Piemonèisa fondata dal compianto Andrea Flamini.

Legato al personaggio, si sono sbizzarriti i maesti dolciari, iniziando dal famoso Gianduiotto, cioccolatino a forma del suo cappello Tricorno, avvolto in carta stagnola dorata sin da quando è nato, se vogliamo aggiungere una chicca… resiste nel tempo da memorabile memoria, una caramella (difficile trovarla) di forma ottagonale, dall’aspetto di un lecca-lecca, incartata con una speciale carta sulla quale è impressa la foto di Gianduja… sorridente come sempre…

Daniele Giordano

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