LA REALTA’ VISIONARIA E L’IDEALISMO NELLA GRANDE MOSTRA DI VAN GOGH A PALAZZO BONAPARTE. IL PROLETARIATO E L’UMANESIMO NEL NITIDO COLORISMODEL PITTORE OLANDESE SUICIDA GIOVANE

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Finalmente la tanto attesa e sospirata esposizione del drammatico artista del Paese dei tulipani, suicidatosi con un colpo di pistola al petto a soli 37 anni , s’è aperta in un affollato Palazzo di famiglia della madre di Napoleone con circa 60 opere provenienti dal Museo Kroller – Muller di Otterlo. Questa prestigiosa galleria,  che è la seconda per il collezionismo dell’inquieto e travagliato artista fino all’esplosione della follia, fu realizzata grazie alla passione per l’arte della figlia d’un commerciante di Horst vicino Essen, che aveva sposato il fratello minore d’un socio olandese del padre, che condivideva gli interessi di Helene e che non solo fece fiorire l’azienda, simile a quella di spedizioni della ricca Trieste austriaca di fine Ottocento dei Veneziani in cui lavorò Italo Svevo innamorandosi di Ada, ma sostenne gli sforzi della consorte nell’incaricare il critico d’Arte  e maestro d’Estetica H.P. Bremmer, che dal 1907 al 1925 aiutò i mecenati a costruire un ‘imponente raccolta d’eccelsa arte, allargandola fino al 1939 con sculture ,ceramiche , porcellane antiche, opere cinesi e di grafica. Si passa  dal realismo di Millet e  Renoir all’idealismo di Redon  e Signac, per giungere a Picasso ed infine al Neoclassicismo, passando per Cranac il Vecchio del’500. Tuttavia la sua smisurata ammirazione la riversa su Vincent di cui assembla 91 dipinti e 190 disegni , con  una parte di cotale antologia artistica visibile al primo piano che termina con il famoso ed impareggiabile autoritratto su sfondo azzurro ed occhi verdi, che scruta con fierezza il visitatore. La Mostra continua ed è divisa in cinque sezioni che strutturano il decennale d’attività pittorica del genio fiammingo raffrontabile per la forza espressiva del colore con il cinquecentesco Caravaggio, in quanto partendo dal mondo grigio scuro dei minatori, tessitori, contadini, raccoglitori di patate e cipolle, fino al vecchio disperato piegato su se stesso e con la testa tra le mani che rappresenta la vetta della parabola schizofrenica che sconvolse la sua esistenza, nulla lasciò d’intentato per la sensazione d’ un solco  vuoto e  profondo nel suo animo in quanto non seppe concretizzare niente : non riuscì a provvedere a se stesso dovendo farsi mantenere dal fratello Theo, di cui resta in mostra una copiosa testimonianza del carteggio con i suoi spesso lucidi e penetranti pensieri  scritti con chiara e perfetta calligrafia, non si costruì nemmeno una famiglia sebbene si fosse invaghito d’una prostituta a Parigi e madre d’ una bambina con cui ebbe un’intensa relazione, mise incinta ma non fu in grado di salvare giacché s’annegò a Rotterdam. Al piano superiore vengono presentate le opere che, partito da Parigi per la Francia meridionale ovvero la Provenza, eseguì ad Arles, St. Remy ed Auvers – Sur – Oise, dove la mattina del 29 luglio del 1890 nei suoi amati campi la folle depressione ebbe il sopravvento. Il colore non è più imitativo bensì evocativo con una magnificenza splendida, abbellita dai pastelli ad olio, con una bacheca che raccoglie tutti i suoi strumenti nevralgici di lavoro ed allora ecco il seminatore, le donne alle prese con le mansioni domestiche od a trasportare sacchi di carbone,  ad arare e scavare il terreno con le mani per trarne prodotti per la misera tavola, con goffi ed affaticati volti oppresse dal destino a cui non possono sottrarsi. Il secondo periodo è dunque più vibrante nell’impressionismo dei soggetti fino allo scosceso burrone in cui  sta per precipitare, anche se non mancano le nature morte  e la lussuosa e verdeggiante naturale floreale dei boschi e dei giardini, tra cui quello dell’ospedale psichiatrico di Saint Remy in cui era stato ricoverato ai primi segni di squilibrio mentale sfociato nell’orecchio mozzato.  In tutte queste tele s’avverte una laica spiritualità lancinante e nichilista che l’oppone all’ancestralismo esuberante e vitale, metamorfico, di D’Annunzio, mentre qui siamo nel pieno ossimoro lirico e simbolico contrapposto alle sublimi Odi de “La pioggia nel pineto” e “La sera fiesolana” con  la ripetitiva e squillante fonetica, l’osservazione maestosa ed un’interlocutrice silenziosa come Ermione alla quale è rivolta la sinestesia. Insomma la sua trasbordante cromaticità va letta in rapporto ad una sofferenza sempre più travolgente, progressiva ed esasperata con insopportabili tormenti che confidava al fratello, cercando nella pittura un’agognata liberazione terapeutica dal dolore che inseguirà invano per tutta la sua breve esistenza con la logica ma imperdonabile conclusione di tale inutile ricerca. In lui s’avverte l’umile “fanciullino” del Pascoli, unito alla rassegnata filosofia della sofferenza di Carducci con “Pianto antico” ed il suo san o realismo dei borghi e della campagna toscana. In ciò gli sono maestri F. Millet e C. Dubigny con la franca riproduzione della povera classe sociale degli ultimi, dei “Vinti” per rimanere nel positivismo naturalista verghiano, che confermava il non credere di J. J. Rousseau alle sorti scientifiche e progressive del consorzio umano. Il popolo prega devotamente con l’accettazione della sua sorte epica e nobile, dignitosa, abitando in capanne di terra come raffigura un suo dipinto. L’atmosfera parigina con l’ultima ed ottava esposizione impressionista l’apre alla luminosità del colore ed a tale esperienza artistica, dividendola tra gli artisti del Petit Boulevard come lui e Toulouse – Lautrec ed i sommi del Grand Boulevard quali Monet, Degas, Renoir e Pissarro. In particolare conosce il genio errante di Gauguin che torna dal suo soggiorno nella Martinica ed in Provenza prova a rivivere la giovinezza con la squisitezza del colore negli spazi evocati, come Delacroix in Nord Africa e Cezanne ad Aix en Provence, con un a passione psicologica per uno studio interiorizzato alla Millet e Corot. Le sue opere sono frutto dei  frangenti di pace prima della malattia o subito dopo, domandandosi se siano esse a scatenare la follia per l’eccessiva immedesimazione.Le tele infatti non trasmettono più la tranquillità  e pertanto si dedica di fonte a quadri inviatigli dal fratello di Millet ad un’attività di riproduzione, che stima piacevole esauritasi la sua vena artistica. Intensa e poliedrica è comunque la sua creatività fino al fatidico 29 luglio 1890 per una fine che ormai era quasi segnata. L’autoritratto fu preceduto da 25 ritratti mai esaustivi e soddisfacenti in cui s’ispirava a Seurat e le pennellate erano  condotte in modo diversificato per trasmettere una tumultuosa immagine di se stesso, di cui è stata trovata la raffigurazione della testa dietro la tela d’una  contadina restaurata alle National Galleries di Edimburgo, lasciando suppore che egli utilizzasse il verso per nuovi soggetti e così risparmiare. Dopo la sua morte  rimase alla vedova di Theo, morto qualche mese dopo il fratello, che la seppe far fruttare vendendola finché pervenne alle Gallerie Scozzesi nel 1960.Theo fece il lascito a Johanna Bonger  sua moglie d’un centinaio di quadri, con dipinti e disegni del cognato che lei espose in America cominciando a divulgare la sua celebrità e capitalizzarla. Nel 1891 a Bussum aprì la pensione “Villa Helma” per intellettuali, pittori, scrittori e critici che potevano favorirla nell’intento d’arricchirsi, con il riversare l’entusiasmo artistico sulle creazioni di Vincent, tanto che fino al 1900 realizza 20 mostre nella terra natia e nel 1905 allo Stedelijk  Museum di Amsterdam espone ben 484 opere che portano in alto le loro quotazioni economiche. In 34 anni  vende 192 dipinti e 55 disegni, lasciando il resto in cospicua eredità al figlio. Pubblica il carteggio tra il marito e Vincent  nelle lingue originali che rivelano uno straordinario valore concettuale ed argomentativo per  l’accorte meditazioni e confessioni “Toto corde” sincere e profonde

In olandese e tedesco e lo traduce in inglese, venendo alle stampe nel 1929 nell’idioma albionico a quattro anni dalla sua morte, che fa precedere dalla donazione di uno dei due dipinti di Girasoli alla National Gallery di Londra. Il figlio in accordo con lo stato dei Paesi Bassi apre il Museo Van Gogh  nella capitale con la diga sul fiume Dam nel 1973.Dunque con la  visione della sua Mostra la nostra Cultura s’alimenta, cresce e si rafforza, provocandoci suggestive emozioni e forti sentimenti ideali e civili così necessari in questo tempo minacciato da un clima sempre più bellicamente infuocato in cui nessuno vuole fare un passo indietro e che ci riporta all’epoca  in cui visse Van Gogh che era dominato dall’Impero franco- guglielmino del Bismark, dalla nascita dell’anarchia di Bakunin in Russia con il Movimento Popolare Socialista e dall’inizio delle conquiste coloniali che poi avrebbero portato alla Grande Guerra mondiale di trincea per le lotte tra gli Imperi susseguenti alle loro mire espansionistiche con lo scontro tra Triplice Intesa e Triplice Alleanza. Si moltiplicano i sentimenti e le riflessioni : da quelli romantici ai turbolenti e disastrosi, tragici, pure oggi.

Giancarlo Lungarini

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