Udine, Teatro Palamostre, Sala Pasolini, 29 ottobre 2022
Assistere a “Le Etiopiche”, Spettacolo vincitore del Premio Scenario 2021, significa esporsi a un’esperienza dotata di un altissimo livello di complessità, tutta concentrata nel breve tempo di uno spettacolo. Si esce storditi, consapevoli di aver ricevuto in dono un’infinità di spunti per riflettere, studiare, approfondire, cercare, interrogarsi.
Anziché tentare di semplificare, Mattia Cason (attore, ideatore, drammaturgo, coreografo e regista) sceglie infatti di entrare in un intricato labirinto spazio-temporale e, con gli altri interpreti, si fa portatore di un messaggio potentissimo che da Wittgenstein, Mahler, Beethoven ci conduce a Memnone di Rodi, mercenario greco comandante delle truppe persiane e al suo scontro con Alessandro il Macedone e poi, con un balzo audace e vero, alla nostra contemporaneità.
In scena con lui i danzatori della Compagnia slovena EN-KNAP Group, diretta da Iztok Kovač, si alternano nell’impersonare la molteplicità dei personaggi necessari allo svolgimento della narrazione, mentre nel video appaiono, tra gli altri, anche rifugiati africani.
Ludwig Wittgenstein ricorda un episodio di quando, bambino, chiese a Gustav Mahler, ospite dei genitori, di aiutarlo a risolvere la contraddizione interna al testo di Friedrich Schiller scelto da Ludwig van Beethoven nella creazione del Quarto Movimento della Nona Sinfonia, l’Inno alla Gioia. Se infatti il Coro canta “Tutti gli uomini diventano fratelli”, il Tenore afferma “Felice come un eroe alla vittoria”: si tratta allora di aspirazione alla fratellanza, o della volontà di dominare? Desiderio di conquista, o curiosità nei confronti dell’Altro da sé? Mahler risponde che la frattura è molto più antica, collocata in un luogo ben diverso dall’allora centralissima Vienna.
A partire da ciò lo spettatore si trova sempre più travolto da una quantità potenzialmente illimitata di informazioni, concetti, idee, miti e suggestioni, aiutato qua e là da una lieve traccia costituita da notizie storiche e geografiche, del tutto simile ai sassolini lasciati da Pollicino, utili a non perdere la strada, ma inservibili per chi volesse tentare di ridurre la gigantesca portata del simbolico di cui si nutre l’intera performance.
Eventi accaduti in uno stesso luogo nel corso di un amplissimo arco temporale – dal ratto di Europa da parte di Zeus alle attuali migrazioni – accompagnano lo spettatore spingendolo ancora più indietro nel tempo, al (forse) vero nodo originario della nostra caotica inadeguatezza di fronte a eventi di portata titanica che, impossibili da ignorare, ci interrogano sul nostro essere: europei sì, ma con ormai ineludibili radici afroasiatiche.
Video e coreografie sostengono e definiscono l’incessante dialogo tra epoche diverse, tra movimenti di uomini avvenuti in tempi lontanissimi e di coloro che percorrono oggi le stesse strade e giungono nelle terre che consideriamo nostre.
A dimostrare quanto la presenza del simbolico possa agire per innescare ricordi, letture, visioni cinematografiche, tale fitta compresenza di testo e immagini unita alla modalità del racconto in scena e nelle riprese, portano alla memoria esempi illustri, film e racconti particolari e indimenticabili, come ad esempio “Incontri con uomini straordinari” di Peter Brook da Georges Ivanovic Gurdjieff e “L’uomo che volle farsi re” di John Huston da Rudyard Kipling.
In scena, con l’aiuto di sottotitoli, si sente qui parlare in tedesco, turco, farsi, amarico, greco antico e moderno, yiddish, arabo: una babele presente, pressante e al tempo stesso risolta. Un paradosso, quindi, che fa sentire la fatica di una costante necessità di decodifica e porta a percepirsi in bilico tra mondi, ma che al contempo aiuta a risolversi. Perché, in questa ubriacatura verbale, si ha la possibilità di uscire dalle categorie note per lasciarsi idealmente trasportare da quel movimento circolare che tante tradizioni (non soltanto quella seguita dai dervisci rotanti) affidano al corpo per giungere all’equilibrio tra mente, corpo e spirito.
Circolarità ben evidente nelle stelle presenti sulla bandiera europea che, con quell’Inno alla Gioia composto da Beethoven sulle parole di Friedrich Schiller, rappresentano simbolicamente il nostro essere Europei.
Paola Pini