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Bones and All, il miglior film di Luca Guadagnino

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Bones and All è il miglior film di Luca Guadagnino, perché il più compatto e coeso, il più dolce ed emotivo, dove il suo gusto estetico di sperimentare ibridi e innesti nel linguaggio cinematografico incontra una storia d’amore atipica, che attraversa Stati dell’America e paesaggi fisici e della solitudine umana, cercando di trovare un posto nel mondo, tra istinti innaturali e mostruosi da regolamentare e governare, proprio a partire dalla relazione, dal riconoscersi e proteggersi, dal condividere una vita insieme.

È di fatto sempre in fuga Maren, da quando viene abbandonata dal padre ad inizio film. La causa è la sua condizione di cannibale. Vuole cercare la madre e un po’ se stessa, quindi parte. Nel tragitto incontra Sully, che si autoproclama amico e padre putativo e che le fa scoprire di non essere la sola al mondo, che la spinge poi ad accettare la sua natura, a conviverci; una figura dai caratteri inquietanti che evoca l’horror più della carne strappata o del sangue versato che sporca spesso i volti e i vestiti dei protagonisti. Ma non è sola Maren, perché nella sua vita entra a far parte un ragazzo misterioso e solitario, Lee, anche lui cannibale, che ha le sue stesse paure, ma soprattutto che ricerca, come lei, un habitat sicuro dove potersi sentire meno diverso e meno solo. Impareranno a costruirlo intorno a loro, quell’habitat, ma soprattutto a partire da loro stessi, dai loro corpi, dai loro desideri, stando insieme quindi, viaggiando insieme, parlando e confrontandosi. “L’Amore consiste in due solitudini che si toccano, ognuno a guardia della solitudine dell’altro”, per dirla con il poeta Rilke. Se non mi unisco all’altro non posso perseverare nel mio viaggio.

Bones and All comincia con inquadrature di quadri di paesaggi appesi all’interno di un istituto scolastico. E poco dopo, prima del titolo, con Maren che stacca un dito dell’amica a morsi. Guadagnino definisce fin da subito i generi di riferimento della sua opera: il road movie e l’horror. Da un lato quindi la fuga e il vagabondare, il movimento come salvezza prima di tutto, ma anche come moto dell’animo infestato da dubbi nella speranza di scrollarseli e divincolarsi il più possibile da essi; come irrequietezza dell’indagine, ansia di conoscenza e come desiderio di scoperta di una diversità da confutare e rendere normale; questo dinamismo del viaggio è preferito, questa volta, alla staticità e alla posatezza, all’esaltazione dell’istante fermo, nell’estate di Elio e Oliver in Chiamami con il tuo nome. Dall’altro lato le atmosfere misteriose e disturbanti di luoghi vaghi e deserti e case abbandonate o popolate da gente morta, i primi piani sporchi di sangue, muscoli addentati e strappati, figure perverse che rimangono avvinghiate alla narrazione anche quando la macchina da presa le abbandona per lunghi tratti. Due approcci diversi, ma fondamentali, per veicolare una potente storia d’amore.

È il Border – Creature di confine o, meglio, il Lasciami entrare di Luca Guadagnino. Inserito in generi così forti, d’impatto, capaci di dominare la narrazione, Bones and All, nel suo incedere sincopato, ad ellissi, a scatti in avanti, in un tempo che viaggia inesorabile e sembra che sia costretto a farlo come i protagonisti, è, in sintesi, una storia d’amore semplicissima che, in un contesto così iperbolico, emerge con forza in contorni ancora più vividi e definiti: dinamiche spontanee e naturali, perciò verosimili, battute di dialogo che possono essere le nostre, carezze e intimità che viviamo ogni giorno. Ci permette così di riconoscerla e riconoscerci in essa, dimenticandoci che stiamo empatizzando con due cannibali che sbranano e digeriscono carne umana. Ci ricorda, al di sopra di tutto, che è proprio l’amore ad annullare le diversità, che una storia d’amore può incastrarsi nel mondo sempre, anche quando questo appare distantissimo, e farti sentire esatto in una società che sa indicare solo gli errori; in questa selva di sguardi giudicanti e non comprensivi l’amore può innestarsi e fiorire; può costruire per te un’alcova calda e accogliente, uno spazio tuo dove puoi abbracciare e sentirti meno solo: perché solo ciò che si abbraccia può essere trasformato. Solo così il viaggio si ferma. E poi si ferma anche il tempo.

Simone Santi Amantini

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