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GINA LOLLOBRIGIDA: UN GRAFFIO SUL CUORE CHE NON GUARIRÀ MAI

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Capelli fluenti, occhi da cerbiatto, sorriso aperto e contagioso e un fascino da vendere. Di chi stiamo parlando? Ma della grande Gina Lollobrigida, attrice, scultrice, pittrice, fotografa che solo con la sua presenza riusciva a bucare lo schermo e a rimanere nella testa dei suoi fan per giorni. Era l’essenza della parola “diva”. La sua morte il 16 gennaio 2023 ha addolorato un po’ tutti. Nata a Subiaco il 4 luglio del 1927, è stata una delle più importanti e note attrici del cinema italiano. Icona di bellezza e charme tutto made in Italy, diede una svolta alla sua vita già come studentessa di Belle Arti nel paesino laziale di Subiaco. Nell’ immaginario collettivo  era rimata la Lollo del ciclo dei film  Pane amore e…, La RomanA, Il Tesoro dell’Africa, La donna più bella del mondo, Pinocchio di Comencini, dove immortalò la Fata Turchina ecc… Ma anche a Hollywood recitò in tanti film – affiancando divi di fama mondiale da Rock Hudson a Frank Sinatra da Anthony Quinn a Sean Connery e tanti altri. Sguardo inconfondibile, bellezza abbagliante, curve mozzafiato, l’attrice ha fatto girare la testa a registi e attori di ogni età, collezionando durante tutta la sua meravigliosa carriera 7 David di Donatello, 2 nastri d’Argento e un Golden Globe. Al contrario di quella professionale invece, la  vita privata dell’artista è stata un po’ turbolenta. «Ho il diritto di vivere ma anche di morire in pace». L’attrice era infatti da tempo in lotta con la famiglia per questioni legate all’eredità e al ruolo del suo manager Andrea Piazzolla, finito a processo con l’accusa di circonvenzione di incapace. Sempre la stessa, aveva sfogato tutta la sua amarezza anche in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Ho lavorato e rappresentato l’Italia nel mondo per oltre 70 anni, per avere un trattamento ignobile. Credo di meritare un pò di tranquillità e non di essere trattata come una persona incapace, visto che non lo sono. Ho aspettato per anni perché credevo nella giustizia italiana ».

Clementina Leone

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