L’ASSURDA PALINGENESI DI T. BERNHARD IN “IL RIFORMATORE DEL MONDO” ALL’ARGENTINA. LA MALINCONIA DEL VECCHIO ATTORE DIMENTICATO CON IL BASTONE E LA VALIGIA IN “MINETTI” SOLO

Data:

Da 17 al 29 gennaio 2023 al Teatro Argentina di Roma

Uno dei maggiori scrittori del secolo scorso è stato senza dubbio Thomas Bernhard nato in Olanda da genitori austriaci nel 1931 e morto in patria nel 1989, che per tutta la sua esistenza fu tormentato da una profonda ansietà panica verso la Natura, che possiamo paragonare al pessimismo cosmico leopardiano, dettatagli dai regimi dittatoriali che regnavano in Europa durante la sua adolescenza e giovinezza, dopo le lotte degli Imperi nella prima guerra mondiale o “Grande Guerra”. La  sua famiglia, presagendo quello che sarebbe successo da lì a qualche anno e precisamente nel 1938 con l’annessione ( la storicamente nota come Anschluss) della sua nazione da parte dell’imbianchino di Linz divenuto megalomane assassino e despota con il potere nazista, ovvero il “Fuhrer” Hitler che già aveva tentato il colpo di Stato di Monaco di Baviera tra il 1921 ed il 23, era fuggita nei Paesi Bassi, come si chiama ora la terra dei tulipani, cosicché lui aveva concepito una totale avversione nei confronti del mondo folle, irrazionale, freddo e rigido, privo dei valori e sentimenti morali e civili su cui prevalevano l’indifferenza e l’odio etnico. Per chi non conosce dai suoi studi o dalle frequentazioni teatrali questo autore lo Stabile di Roma presenta in questi giorni lo spettacolo “Interno Bernhard” diviso in due atti unici con al centro due figure espressione della sua concezione antropologica e filosofica della vita umana, alla luce anche della psicanalisi di Sigmund Freud. L’allestimento è della Compagnia Mauri Sturno con i due valenti attori che si ritagliano, su misura per loro, ciascuno un personaggio, rendendolo al massimo con una superlativa immedesimazione nello stesso. Il più giovane e vigoroso, impetuoso e grintoso, Roberto Sturno è il solitario intellettuale arcigno, duro e spigoloso, rinchiuso nella sua casa che si limita al minimo rapporto con la cameriera , trattandola con alterigia e sussiego, un linguaggio sprezzante ed offensivo, costringendola a stirare e sbrigare le faccende domestiche con cipiglio irriconoscente, bensì pure a fargli accorti pediluvi stando attenta ad asciugarlo con delicatezza e rimproverandola di non saper leggere il trattato che ha scritto in quanto non possiede la scansione ritmica e fonetica, a suo insindacabile parere, giusta ed adatta. Appunto per questa sua testuale composizione saggistica sta per ricevere una laurea “honoris causa” da una delegazione accademica ufficiale che sta per raggiungerlo e ciò l’inorgoglisce ancor più, in quanto camminando nel suo studio ritiene, fiero nel suo solipsismo ed egotismo eccentrico, che da domani sarà annoverato tra i massimi letterati, scienziati, artisti e filosofi della Storia. Il suo ghigno beffardo è rivolto alla comunità della sua città ed ai cattedratici che l’hanno giudicato sul pamphlet redatto, sulle condizioni del mondo e la necessità di risanarlo con una palingenesi totale, che non hanno compreso la misantropia molieriana per quello che osservava spietatamente e capito la grottesca dimensione elaborata: bisogna eliminare gli uomini dal cosmo ed avere una nuova creazione, in guisa di quello che auspicava anche Ettore Schmitz, ovvero Italo Svevo, nell’ultimo capitolo de “La coscienza di Zeno” di cognome Cosini, che nella sua inettitudine non aveva il coraggio di suicidarsi giunto al vertice del nichilismo. Il titolo universitario per meriti lo riporta a tutti coloro che per simili benemerenze, come Edoardo De Filippo ed il Cardinale Zuppi presidente della CEI ed Arcivescovo di Bologna, hanno ricevuto, tuttavia in loro v’è la fiducia e la speranza nel cosmopolitismo solidale e nel cambiamento in positivo con la giustizia sociale e la pace del mondo, senza dover per forza distruggerlo per rinnovarlo con l’Amore fraterno per il prossimo ed il dialogo religioso. Il suo cinico discredito dell’universo deriva da  quello che osservava  aggressivamente succedere nel Vecchio Continente e pertanto possiamo considerare l’artista quale riflesso autobiografico dello scettico romanziere, che non fa  niente per nascondersi nella sua creatura e condannare a priori l’ignoranza della gente. Nel secondo tempo della ricostruita analisi selettiva della psicanalisi sociale di Bernhard ci troviamo di fronte l’anziana figura del maggior attore tedesco del Novecento, quel Bernhard Minetti cui il testo è dedicato come omaggio avendo come sottotitolo esplicito “Ritratto di un artista da vecchio”. Potrebbe attagliarsi bene pure a Glauco Mauri che incede in maniera cadenzata con il bastone, la famosa “terza gamba”  cui intendeva accennare l’indovinello della Sfinge , sul palcoscenico con  il cappotto nero ed il cappello d’analogo colore nel salone dell’albergo di Ostenda dove passerà  la notte di Capodanno  in quanto,  invece dei soliti concerti e suoni orchestrali con le canzoni come si fa ora , doveva rappresentare il suo “cavallo di battaglia” Re Lear dalla celebre opera del tragediografo W. Shakespeare definito “Il Cigno di Stratford on Avon”. Egli, divenuto ormai anziano, s’abbandona ad un “flusso di coscienza” joyciano che contiene frammenti della sua trentennale carriera nel teatro di Lubecca, da dove, essendo ormai senescente, è stato ingloriosamente cacciato. Scarica la sua progressiva vena lirica di romantiche memorie disilluse sull’ingratitudine della cittadinanza, il che l’accomuna a quella delle figlie del Re che s’è spogliato precocemente del suo patrimonio ed unicamente quella che ha sposato il Re di Francia gli è grata e da lì scaturirà la guerra dei Cento Anni che vedrà al centro nella seconda fase il mistico eroismo di Giovanna d’Arco. Codesta sua amarezza e triste nostalgia dei bei tempi è paragonabile al simile lavoro nell’Ottocento di A. Cechov “Il Canto del Cigno” metafora simbolica d’un eccelso attore giunto al termine della sua attività scenica. Formidabile, straordinaria, misticamente superlativa e struggente , è la sublime esternazione di congedo del geniale attore, che lamenta che perfino il Direttore dell’hotel s’è scordato di lui essendo già passate due ore dal suo arrivo senza che si veda per le dovute garbate accoglienze di prassi con i nomi illustri. Gli avventori dell’albergo, a differenza del pubblico teatrale che segue la “performance”  del magistrale Glauco con commossa partecipazione immedesimata in ciò a cui assiste e meditativo coinvolgimento mentale, gli ruotano intorno come una massa amorfa omologata dalla maschera spersonalizzante  da coniglio che indossano, similmente a quella di Edson ed ai trucchi del mestiere che Minetti porta nella sua preziosa valigia. Una dama mondana in vestito rosso da gran sera, rammentando l’affascinante personaggio della pellicola cinematografica “The Woman in Red”,  si scola una bottiglia dopo l’altra ormai in preda all’ebbrezza  alcolica ed irridendo all’artista di cui il mondo non si cura, essendosi banalizzato nel grigiore caotico e disordinato dato che non  vuole fare sacrifici e soffrire, ma solo godere del materialismo consumista e del piacere sessuale. Come per il  filosofo intellettuale con la palingenesi, così per l’attore e la sua logorroica prosopopea, profluvio di parole a briglia sciolta, si potrà uscire dalla confusione e dispersione generale soltanto riportando tutto sui binari opportuni e rivalutando la valenza sinestetica delle Arti maggiori, ovvero le 7 discipline che il Medioevo ed il Cinquecento con le Accademie dividevano in 4 scientifiche e 3 letterarie, secondo quell’”homo novus” che l’antico mondo romano già conosceva ed apriva le porte al “cursus honorum” descritto da Cicerone. Questo postulato ed asserzione di principio sinestetica desumibile  dai pubblici riconoscimenti attribuiti ai sommi geni in siffatti campi dei due lobi del cervello nell’età contemporanea, con massime possibilità di guadagno ed impiego professionale od autonomo, sarà sempre più consolidato se ci convinceremo che “ con la cultura si è più sapienti, si mangia meglio per lauti guadagni, al pari di quelli dei dirigenti statali con un discusso limite per esempio, ma che comunque un Paese senza il teatro e l’accresciuta civiltà è morto”. Infatti l’unica figura che sta ascoltando Minetti è una giovane che coltiva la passione per la Musica diffusa dalla radio e con cui l’eccelso teatrante s’intrattiene a dialogare, rompendo il suo avvilente e frustrante isolamento in quanto sono empaticamente sulla stessa linea d’onda. Allorché arriva a prenderla il fidanzato, ella prima d’andar via gli regala il suo apparecchio affinché almeno, rispetto all’ingratitudine ingenerosa dei popolani di Lubecca, gli faccia compagnia invece dell’ombra pirandelliana nel finale de “Il fu Mattia Pascal” con il ritorno al paese natio di Mirigliano. Minetti ora è stanco e s’abbandona seraficamente al sonno  ristoratore indossando la sua bella maschera e lasciando cadere il bastone, mentre lo sguardo in quest’ultima scena sublime è estasiato pure dal fioccare d’una soffice e lieve neve nel trapasso ad un nuovo anno  con il freddo invernale che imperversa, alla misura di siffatto periodo in tutta Italia con rovine provocate dall’esondazione dei fiumi, smottamenti delle montagne, coltre bianca e violente grandinate. Nel cast della Compagnia quali personaggi comprimari, specialmente nel desolato Minetti del secondo tempo che è preferibile per coralità di tipi umani e tematica sviscerata con malinconico melò, nonché  per la   valorizzazione della funzione guida del teatro, paragonabile a “Il Gabbiano “ di Livingstone od al “pesce pilota” dei cetacei tra le onde del mare, sono da rammentare per la loro pregevole recitazione nella simbolica cornice del quadro pennellato da  T.Bernhard con la sua penna : Stefania Micheli, Federico Brugnone, Zoe Zolferino e Giuliano Bruzzese, che insieme a Sturno e Mauri scavano a fondo per la regia psicanalitica e psicologica di Andrea Baracco i loro soggetti umani. Le  scenografie della residenza dell’artista e dell’hotel di lusso in cui deve alloggiare Minetti, che ha impersonato il teatro tragicomico e spietato, feroce, del suo  biografo memorialista sono state realizzate da Marta Crisolini Malatesta, unitamente ai costumi della media  borghesia,  degli intellettuali e dei teatranti della metà del XX secolo. Lo spettacolo sarà in programmazione all’Argentina fino all’ultima domenica del corrente mese, il 29 esattamente. Andate a vedere soprattutto, forse, le ultime apparizioni d’un magnifico attore sul “Viale del Tramonto” poiché poi potreste rimpiangere la sua classe,  il suo stile elegante nel signorile portamento e  la dignitosa postura.

Giancarlo Lungarini    

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