Fino al 4 giugno 2023, al Teatro Manzoni di Roma
Siamo in una fase civile e politica assai problematica e con scottanti questioni indilazionabili sul tappeto : l’emergenza climatica ed alluvionale con un maggio particolarmente piovoso dopo l’enorme siccità dei fiumi in secca e con pericolo per le risorse idriche; a ciò s’aggiungano le questioni delle riforme istituzionali per cui si sono ricreate le spaccature tra maggioranza e minoranza, divise sul presidenzialismo o premierato, l’autonomia differenziata delle Regioni per cui aumenterebbe il divario tra Nord e Sud dopo le guerre del Risorgimento per l’Unità d’Italia e le tende degli studenti universitari fuori sede che, non riuscendo a trovare case o stanze in affitto a buon mercato per le leggi dell’economia, s’accampano con le tende ed il ministro Bernini ha promesso di risolvere la situazione con gli edifici demaniali in disuso. In codesto consenso pare scelto “ad hoc” il testo di Antonia Brancati andato in scena al teatro Manzoni in Prati a Roma, dietro la RAI, per la conclusione della stagione di prosa e che vede contrapposte sul palcoscenico due personalità femminili dalla forte tempra e dall’identità attoriale ben definita : un’ intimista e sarcastica, salace e fiera dei suoi valori etici ed intellettuali Ivana Monti nei panni di Teresa la madre e Maria Cristina Gionta più estroversa, dinamica ed aggressiva, spietata nei suoi giudizi che emette rivestendo il ruolo di Diana la figlia dal coriaceo cipiglio. Il soggetto chiave della pièce intitolata “Preferirei di no” è invece il padre/ marito assente, ma intorno a lui verte la disputa verbale dalla dialettica infuocata e serrata come un acceso incontro di boxe sul ring, quelli della serie di Sylvester Stallone in “Rocky” oppure sulla figura di Jack La Motta nel recente “Toro scatenato”. Questi infatti da abile imprenditore di singolare successo vorrebbe candidarsi alle prossime elezioni politiche e dunque gli serve di sembrare un bravo padre di famiglia che ha un’onorata reputazione privata, oltre ai meriti pubblici finanziari ed al successo con le donne dovuto secondo la consorte al fatto d’essere un vero “Don Giovanni” di Mozart o Casanova per risultare un “ piacente seduttore ed affabile, persuasivo, oratore”. Teresa, tuttavia, che nel privato lo conosce bene gli ha più volte rimproverato la sua spregiudicata condotta negli affari e la sua linea politica alquanto libera e facile al compromesso, all’egoismo opportunistico ed al tornaconto ,essendo lei al contrario sostenitrice del pensiero di Platone nella sua opera specifica “La Repubblica” per cui l’uomo o donna che sia, visti i tempi moderni, è un “polites” ovvero animale politico e deve prendere operativamente prendere parte con senso civico alla vita della propria collettività urbana. Quello che sta avvenendo in questi giorni in Emilia _ Romagna, dopo simili condizioni in Sicilia e nelle Marche, con spirito di disponibilità dei propri beni e generoso soccorso di tanti cittadini e giovani, non solo l’intervento in grande dispiegamento della Protezione Civile, per soccorrere coloro che sono rimasti imprigionati senza nulla nelle case, contandosi già 15 vittime, 14.000 sfollati e 27.000 senza luce ed acqua, come si registrò per il Belice e per l’inondazione di Firenze e Venezia nel 1966.Teresa al culmine di un’ennesima lite con il marito, forse per gelosia, tentò d’ucciderlo sparandogli, ma per fortuna mancandolo e per questo è stata rinchiusa per un lungo periodo nel manicomio psichiatrico, ora chiusi per la legge Basaglia , andando poi a vivere in un piatto ritiro isolato e naturalistico, paradossale per la mancanza di contatti umani e la brutale segregazione con l’intermittenza di corrente elettrica per l’illuminazione e la televisione, come pure per l’interruzione delle linee telefoniche, pertanto in una “domus ruri” poco gratificante; invece Diana cinica e decisa a tutto, come il padre con cui vive, per sfondare e fare denaro sta curando la pubblicità del genitore e desidererebbe che la madre rivedesse e concordasse l’intervista che lei s’è permessa di rilasciare al suo posto; per questo le ha scritto tre lettere e dice d’averne ricevuta in risposta una sola in cui la madre scriveva smontando l’intenzioni filiali “Preferirei di no” del titolo della commedia molto acre, costellata da quelle che nella scherma si chiamano “parate e stoccate”. Nonostante questo la figlia è andata lo stesso in campagna e si sono riaccese subito le tensioni caratteriali ed ideologiche rivangando il passato, inoltre con l’accusa di Diana a Teresa d’essere una donna insensibile sulla situazione attuale “come una folle pazza” ridotta al silenzio, che con intelligenza ed astio nelle sue battute fa in modo di farglielo capire, situate su opposti poli ed emisferi. L’umorismo salace si rivela in crescendo, specialmente quando la madre le offre una torta composta con i prodotti dell’orto in quanto non si deve buttare niente e poi una “pesante ed allergica cena” a base di cavoli, peperonata e salsicce, che fa stare Diana male non dormendo e vomitando per tutta notte, mentre Teresa nel buio umiliante della sua casa, quale quello che sperimenta un’artista romana rifugiatasi come unica abitante in un castello dell’Abruzzo su un costone della montagna venuta via da Roma. La mattina dopo, trascorsa la notte a lume di candela, lo scontro riesplode e dilaga nel finale allorché Diana le fa leggere l’intervista rilasciata per interposta persona e s’aspetta che la mamma accetti con qualche correzione di firmarla. Il risultato parrebbe ottenuto con l’apposizione del nome e cognome, però, ai propri principi e scopi di vita non si può venir meno per cui la burrasca dilaga dopo un attimo di ripensamento e con l’urlo che “la politica è morale o non è” distrugge l’oggetto della polemica ; perciò il terzo elemento determinante del romanzo allestito non è degno di rivestire un ruolo pubblico e lei fa un atto di sfida verso il frutto giovanile delle sue viscere, intimandole in duplice maniera di togliere le tende e Diana le giura che morirà nel suo glaciale mutismo imperturbabile non avendo più nessuno con cui parlare. Nel finale, comunque, un metaforico spiraglio di luce all’orizzonte per Teresa appare con uno squillo del riattivato telefono fisso ed un suo amico giornalista Claudio Brusa, che la figlia detestava per essere d’un quotidiano avversario della linea politica del genitore, si preannunci a portandole un regalo con cui Teresa paradossalmente potrà dialogare. Che sarà? Non ve lo diciamo in quanto tutta la ricchezza dei particolari e le varie sfumature fonetiche, gli acuti tonali, li dovete scoprire da soli in questo scavo dei personaggi che l’esperto regista Silvio Giordani esalta in pieno, non risparmiandosi dall’utilizzare il vibrante suono del sax di Vittorio Cuculo per allentare la “suspence” e dare un po’ di serena leggerezza rassicurante alla rappresentazione, che altrimenti sarebbe una tragedia, che per la figlia si concretizza nel perdere la madre ed uscire sconfitta dal duello verbale con colpi bassi sotto la cintura. La scena dimessa della casa di campagna con lo studio ed annessa cucina è stata creata da Mario Amodio ed i costumi rispecchianti due mondi diversi : quello pragmatico, mondano e salottiero di Diana con luccicanti vestiti e quello riservato, schivo ed introverso di Teresa in abiti scuri, umili e dimessi, quasi da suora laica dl contado, sono firmati da Lucia Mariani. Lo spettacolo si replica al “Manzoni” di via Montezebio, vicino a via Asiago da dove la mattina la televisione trasmette “Viva la RAI 2” con Fiorello e Bigio, fino al 4 giugno, con Maria Letizia Gorga il 29, lunedì giorno di riposo della prosa, in un “revival” sulla figura e repertorio canoro di Dalida.
Giancarlo Lungarini