Con Mozart si va a “Nozze”

Data:

 

Al Teatro alla Scala fino al 20 ottobre 2023

Rappresentate per la prima volta al Teatro di Corte di Vienna, il primo maggio 1786, in lingua italiana, le Nozze di Figaro sono considerate come il vertice compositivo di un Mozart trentenne, che scrisse la partitura incoraggiato dal librettista Lorenzo da Ponte. E’ questa la prima opera del binomio Mozart-Da Ponte, che darà al teatro musicale altri due “monumenti” quali Così fan tutte e Don Giovanni. Lo scrittore, è doveroso rilevarlo, fornì al musicista austriaco uno splendido libretto, un capolavoro nel suo genere, molto di più di una semplice riduzione melodrammatica di La folle journèe ou Le Marriage de Figaro che Pierre-Augustine Caron de Beaumarchais era riuscito, dopo mille peripezie, a far rappresentare a Parigi nel 1784. Da Ponte smorzando i toni polemici di un Figaro profondamente politicizzato (tanto che Napoleone lo definirà la rivoluzione già in atto), pone Mozart nelle condizioni di seguire al meglio la propria indole, che privilegia lo scandaglio affettuoso degli affetti umani, svolto nelle sue componenti patetiche e festose, galanti oppure tenere. Questo non significa che Da Ponte rinunci alla natura di Figaro, ribadendo, con opportuni accomodamenti ad aggirare la censura, le rivendicazioni della nascente borghesia sugl’anacronistici privilegi feudali che la nobiltà, debosciata, si ostina a far valere. Sui personaggi di Susanna, di Cherubino e sulla Contessa d’Almaviva, il musicista esercita tutta l’inventiva di cui è maestro; una grazia melodiosa e capace di sfumature psicologiche, in una maniera inconfondibilmente sua. Si noti poi, come Mozart tenga in minor conto il protagonista, a tutto vantaggio dell’irrequietezza amorosa di Cherubino, messo al centro della commedia. Sarà lui, assieme alle altre due voci femminili di Susanna e della Contessa a giovarsi dei momenti musicalmente più raffinati dell’opera: voci terse e festose, avvolte a tratti da impalpabili accenti di malinconia, incastonate nel magistrale tessuto orchestrale o negli impeccabili disegni di un recitativo sempre vibrante. Con Le Nozze di Figaro, l’opera buffa s’incammina su una strada diversa: il lato comico perde la prerogativa di permeare ogni gesto o azione della commedia; tracce di sensualità fan palpitare i personaggi, che sentiamo dotati di carne e sangue, ascoltando una delicatezza armonica unita a un sapiente dosaggio di ritmi e colori. Il Teatro alla Scala riporta in scena Le Nozze di Figaro in un allestimento storico. E’ sempre una scommessa riallestire spettacoli che, nati in un periodo felice, in una particolare congiuntura, si trovano a dover fronteggiare l’inevitabile invecchiamento della parte visiva, cambi di cast, obbligando a un confronto con le precedenti edizioni dello stesso spettacolo. Non è accaduto per questa ripresa: l’emozione provata più di quarant’anni fa, quando lo spettacolo andò in scena per la prima volta, si è materializzata nuovamente ricreando, nell’eterea magia delle fondamentali luci, l’essenzialità scenica. Sul podio Andrés Orozco-Estrada trascina con la sua energia l’Orchestra del Teatro alla Scala: caratterizzata da brio e vivacità sintonizza i cantanti sulla linea interpretativa scelta di felici contrasti fra le parti tenera e brillante dell’opera, facendo risaltare la componente teatrale dello spettacolo, senza sminuire la fondamentale importanza dell’orchestra mozartiana. Ricco e fiorito il basso continuo eseguito brillantemente da Paolo Spadaro Munitto al fortepiano e Simone Groppo, violoncello. Efficace nel complesso, anche se non omogeneo, il cast di cantanti, dalla dizione chiara e buon fraseggio, che consente di seguire nei minimi particolari le vicende della “Folle journèe”. Del quartetto dei protagonisti eccelle il Figaro sanguigno di Luca Micheletti bravo attore dalla sapida caratterizzazione del personaggio e indiscussa vitalità che riempie la scena. Incisivo nel fraseggio e nella linea stilistica, impreziosisce Se vuol ballare con mezze voci, gustosa la mimica in Non più andrai e ironica interpretazione in Aprire un po’ quegli occhi. E’ stato, come la vicenda teatrale e il titolo dell’opera impongono, il motore dello spettacolo. Ildebrando D’Arcangelo, dopo essere stato un ottimo Figaro in precedente edizione, veste ora i panni del Conte d’Almaviva. Serve il personaggio che, in fondo, non necessita grandi scandagli psicologici, ma è un po’ grossier, poco nobile nel fraseggio. La voce si è indurita e la linea di canto ne scapita, mancando di morbidezza: pesante nel duetto con Susanna e qua e là stentoreo, rasenta il parlato nei recitativi. Una Contessa d’Almaviva, quella di Olga Bezsmertna, di uno strumento vocale che le permette momenti di grande dolcezza in Porgi amor, dove modula e sfuma. In Dove sono i bei momenti mostra qualche fissità di suono, la voce è flautata ma non si trova traccia di sensualità o rimpianto di un passato amoroso, non nostalgia. Tutto è “suonato”, con attacchi flautati e filature preziose che riscuotono consensi, ma l’espressività latita. A contrasto una Susanna saporita di Benedetta Torre, fresca e accattivante, con la voce che si fa via via più calda e rotonda in acuto. In Venite inginocchiatevi offre una genuinità declamatoria, per dare il meglio in Deh vieni, non tardar, pur carente in basso. Svetlina Stoyanova, timbro caratterizzato da un vibrato stretto che non le impedisce di essere un Cherubino appassionato e dai riverberi sensuali; sa essere struggente in Non so più cosa son, trova colori languidi partecipando languori e stato d’animo in Voi che sapete, di eterea sensualità, aria ripresa con eleganti variazioni. Don Bartolo Andrea Concetti non sempre irreprensibile nell’intonazione, canto dai suoni aperti, si destreggia in La vendetta, oh la vendetta. Don Basilio affettato di Matteo Falcier pur efficace nel terzetto Cosa sento, disimpegnandosi In quegli anni in cui val poco pur aria di baule. Marcellina era Rachel Frenkel inizialmente voce puntuta, si rifà con l’aria virtuosistica Il capro e la capretta risolvendo abbastanza bene le agilità. Barbarina vivacissima di Marina Taniguchi, mostra voce corposa in L’ho perduta…me meschina, capace di smorzare. Don Curzio era Paolo Antonio Nevi; Antonio Lodovico Filippo Ravizza calca il pedale macchietti stico. Brave le Due contadine, Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni. Calorosi applausi al termine dello spettacolo, per quest’ennesimo ritorno. Al Teatro alla Scala fino al 20 ottobre.

gF. Previtali Rosti

ph Brescia e Amisano

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