Lodi rende omaggio a Gaetano Guadagni

Data:

Al Teatro alle Vigne di Lodi, 3 dicembre 2023

Orfeo Week: un festival innovativo e traversale, questa la chiave di lettura del nuovo nato nel panorama festivaliero italiano, frutto della caparbia volontà del direttore artistico, il controtenore Raffaele Pe, di offrire alla sua città la possibilità di condividere emozioni musicali di cui è gratificato sui palcoscenici di mezzo mondo. Un Festival in cui varie personalità della cultura e dell’arte s’incontrano per creare un pensiero nuovo. Punto culminante di questa II edizione è la serata a celebrare un altro famosissimo lodigiano, il castrato Gaetano Guadagni, creatore dell’Orfeo gluckiano. Orfeo ed Euridice composta da Christoph Willibald Gluck  è uno dei rari casi di opera settecentesca che non ha conosciuto l’oblio, essendo stata eseguita nei suoi 250 anni di vita con una certa regolarità. Scritta per Vienna il  5 ottobre 1762  per il Teatro di Corte, il  Burgtheater,  a coronamento delle celebrazioni per il giorno onomastico (anche se in realtà era il 4, San Francesco d’Assisi) dell’Imperatore Francesco I. Orfeo ed Euridice nasce come «azione teatrale», che, nella forma aerea di una festa, si svincolava dalle rigide strutture musicali in cui era inquadrata l’opera seria, per meglio adeguarsi alla circostanza celebrativa. Un soggetto mitologico, incorniciato in una struttura fantastica di scenografie spettacolari (cui non era estraneo lo sfarzo), vedeva dispiegarsi la trama su un ordito di elaborata e ricca orchestrazione, con largo impiego di danze e punteggiata da vibranti partecipazioni corali. L’incontro fruttuoso che Gluck ebbe intorno alla figura di Orfeo nel libretto versificato da Ranieri de’ Calzabigi, ebbe a frutto il capolavoro che possediamo. La stilizzazione del mito, ancora ben radicata nella seconda metà del settecento, esigeva che a impersonare il protagonista fosse una voce aulica, quella di un contraltista evirato, il lodigiano Gaetano Guadagni, celeberrimo per l’espressività del canto. Valente musicista anche, tanto da creare una propria versione dell’opera (probabilmente da eseguire in un’occasione privata), conservata a Padova e databile tra il 1775 e 1785. Ragioni di stilizzazione che verranno meno più tardi, quando Gluck a Parigi rimaneggerà e farà riversificare l’opera, trasportando Orfeo in chiave di tenore contraltino, precisamente l’haute-contre Joseph Le Gros. A metà ottocento Berlioz si troverà in un grave dilemma quando, riscoperta la partitura, dovrà adattarla alla voce del contralto Pauline Viardot, sorella della Malibran. Da lì nacquero i molti tentativi di adattamento di Orfeo ed Euridice che rispecchiassero il più fedelmente possibile l’idea concepita dal compositore. Ozioso stare a disquisire su quale delle versioni sia la migliore o più giusta, quale versificazione sia più aerea e pregnante: entrambe son figlie di una diversa poetica. Nell’ambito della preziosa Orfeo Week 2023, si sono eseguiti estratti di Orfeo – allestendo un vero e proprio pastiche in pura tradizione settecentesca – tratti dalla partitura originale con l’aggiunta d’inserti musicali presi da altre versioni. Ispirata la direzione di René Jacobs, che rende la ricchezza cromatica della partitura gluckiana in ogni dettaglio; calda la resa espressiva ma restando sempre nel solco di un fraseggio aulico. Ora patetica ora di astratta purezza e intima dolcezza, rende l’atmosfera incantata dell’idillio pastorale e un senso di nostalgia per un’età aulica in cui i piani di lettura si mescola e intersecano già dalla celebrativa ouverture, con la compagine orchestrale de La Lira di Orfeo trascinata da Elisa Citterio (violino di spalla) a creare il climax: toccante il momento del passaggio di Orfeo dalle zone infere ai Campi Elisi. Il vero trionfatore è però Raffaele Pe, che domina senza problemi la tessitura ed è attore convincente e partecipe anche in un’edizione da concerto (ma vivificata da movimenti drammaturgici); il timbro del controtenore lodigiano ha acquisto una calda brunitura, in bella omogeneità di registri, e l’interprete è apparso ulteriormente maturato, trovando calda espressività e i giusti colori vocali per esprimere gli stati d’animo del cantore. Con patetiche ripetizioni di “Euridice”, nell’aria iniziale, declinate in diverse sfumature, entra subito in parte: seguono commoventi richiami alla felicità passata, in cui concentra lo straziante dolore per la perdita dell’amata. Scioglie in lancinante fraseggio la passione che lo travolge nella triplice invocazione Chiamo, cerco, piango…il mio ben così: forte e partecipata la prima, lenta e impreziosita da mezzevoci la seconda ripetizione, e quasi grido di disperazione, l’ultima. L’accento si fa poi impetuoso e calor bianco rivolgendosi agli Dei infernali, sempre mantenendo una nobile aulicità, per sciogliersi infine in canto dolce e toccante rivolo alle Furie che, commosse, lo lasciano proseguire. Estatici accenti nell’impagabile Che puro Ciel reso con sensibilità, giovandosi di delicate variazioni. Commovente la celebre chiusura di Che farò senza Euridice! Voce omogenea e tonda, quella di Maria Teresa Becci, un’Euridice abbastanza convincente pur con minore eloquenza di passionale accentazione; al personaggio di Amore presta la voce Alice Madeddu, accettabile, trovando nell’esecuzione dell’aria uno sviluppo più armonioso. Affidabile il Coro de La Lira di Orfeo nei diversi e articolati interventi. Successo caloroso, con ovazioni per Raffaele Pe e René Jacobs cui è stata conferita una benemerenza cittadina.

gF. Previtali Rosti

foto Philippe Matsas

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