La natura del teatro e il ruolo dell’attore in “L’arte della commedia” per F. Russo Alesi

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L’Arte della recitazione con la scena e la “cavea” nacque anticamente come specchio della realtà vissuta in quel tempo con le tragedie dei grandi classici greci od i drammi satireschi che venivano allestiti durante le feste panelleniche per emendare i vizi della società ed incentivare le private e pubbliche virtù, che permettessero  un migliore e più elevate tenore di vita con la dignità dell’etica civile unita alla pace nazionale ed urbana, di cui accanto alla commedia aristofanesca testé indicata possiamo ricordare l’età periclea dal 479 al 431 a.C. Gli attori venivano chiamati ipocriti in quanto riproducevano come uno specchio la realtà con una perfetta finzione interpretativa con la maschera, poiché le donne per la loro dignità non potevano recitare fino all’epoca di Shakespeare; il termine teatro deriva etimologicamente proprio dallo sguardo su quello che si ha sotto gli occhi per strada o dalle finestre della propria casa. Proprio da  queste spigolature metropolitane traeva spunto il sommo maestro della filosofia teatrale quale “magistra vitae”, trattando le considerazioni giornaliere sui soggetti umani ed i rapporti interpersonali, che gli era dato rilevare, nella sua raccolta “giorni dispari”, scritta da lui figlio naturale del capocomico Edoardo Scarpetta all’inizio del ventesimo secolo quando l’individuo era entrato in crisi per i venti di guerra per gli imperialismi, che si diffondevano e che ultimamente Mattarella il Primo Maggio ed all’ONU ha criticato insieme ai sovranismi di singoli Paesi per una piena rinascita dell’Europa sorta con i Patti di Roma del 1957;a ciò si legavano gli impulsi e gli istinti che rendevano l’uomo preda delle sue passioni, come mostrava bene il siciliano Rosso di San Secondo con la sua commedia metaforica “Marionette che passione”. Inoltre l’assolutezza dell’oggettività era venuta meno e il geniale drammaturgo  agrigentino Luigi Pirandello aveva introdotto la concezione del relativismo della gnoseologia o dottrina della conoscenza con la novella “Così è,, se vi pare” vista recentemente allo Stabile di Roma e nel romanzo “Uno, nessuno, centomila” in base al punto di vista dal quale si giudica una persona. D’altronde da lì a qualche anno con l’avvento dei regimi nazifascista e staliniano si sarebbe venuto a creare il dilemma del rapporto con il potere, che avrebbe eliminato molti oppositori ideologici con le “purghe”, l’olio di ricino ed i confini a Ventotene nel carcere di Santo Stefano o nei “lager” e “gulag” come avvenne con Turati, Gobetti, Amendola e Matteotti, cui è dedicata l’esposizione al Museo di Roma a Palazzo Braschi; fu  il primo ad essere eliminato orrendamente dall’OVRA per la fiera avversione al dispotismo autoritario, dopo il broglio dell’elezioni del 1924, iniziato con il discorso di Mussolini al Parlamento il 3 gennaio del 1925.Nei tempi moderni rammentiamo i casi degli omicidi della giornalista di Malta e quelli degli intellettuali antagonisti della dittatura a Mosca con la Politoskaja e Navalny avversario politicamente di Putin, che ha cominciato il suo quinto mandato autocratico con pochi ambasciatori occidentali presenti per il conflitto aperto in Ucraina e la minaccia dell’esercitazione con i missili ai confini della NATO. Tutto questo la fecondità mentale di Eduardo lo rielaborò nella sua opera “L’Arte della Commedia” ponendo di fronte, quasi fossimo su un ring  con una sfida di cartello per il titolo mondiale d’una categoria delle varie associazioni pugilistiche, il prefetto De Caro incarnato con sussiego arrogante e sprezzo, vilipendio, della cultura, dal politonale, impettito e dissacrante Alex Cendron che “Incrocia i guantoni “ simbolici  con l’attore capocomico Oreste Campese recatosi a fargli visita di prammatica e di omaggio essendo giunto nel suo territorio. Il rappresentante del governo lo tratta dall’alto in basso affermando che gli attori sono solo dei buffoni e guitti che recitano per il loro divertimento e quello del pubblico come accadeva fino al ‘500 con “il carro di Tespi” itinerante come ora le compagnie di giro, mentre poi sorsero per volere da prima di “RE Sole” le formazioni teatrali nazionali per l’educazione pedagogica, morale e razionale del popolo, affiancando i giornali prima settimanali  quindi quotidiani, per giungere oggi dalla carta stampata a quelli  digitali on line. Nei panni di Campese, che primieramente era stato di Eduardo senatore a vita per pubblico riconoscimento dei meriti, troviamo Fausto Russo Alesi che ha riadattato il testo poche volte messo in scena, tanto che noi ne ricordiamo solo una visione di decenni fa al vecchio teatro Eliseo fuori uso dopo il ritiro di Barbareschi. Ricalca la parte del fido paggio e segretario del funzionario dell’Esecutivo l’impiegato della Pubblica Amministrazione ligio ai suoi compiti Giacomo Franci, che è impersonato con umile sottomissione e prontezza nell’assolvimento dei propri doveri dal disinvolto e talora tracotante con i “Cliens” del prefetto, quale il medico Quinto Bassetti cui rimprovera di non aver presentato la domanda per le benemerite spettanze di medico condotto del paese nonostante le undici cartelle rivendicate per l’effettuato inoltro,  Paolo Zuccari. A codesta mortificazione per la proclamata inutilità della cultura e censura preventiva come nel periodo del Minculpop con le note ciclostilate “veline”, Campese risponde con orgoglio che loro non fanno altro che riportare con la finzione del palcoscenico quello che in realtà è tutti i giorni sotto gli occhi di tutti e che pertanto De Caro non saprebbe riconoscere se si confrontasse con un privato cittadino che reclama i suoi diritti o con un attore che simula i bisogni negati alla gente. La commedia si può dunque dividere in due parti : nella prima v’è la spiegazione della natura e funzione del teatro che il pubblico ufficiale nega, come fece anni fa un famoso ministro dell’Economia peraltro professore ed ora senatore del partito della Meloni ; dalla riapertura della “quarta Parete” nel secondo tempo inizia la sfilata d’alcuni tipi umani che oggi sono i personaggi degli spettacoli come riflessi del vivere urbano e di cui il prefetto non saprà decifrare la misteriosa e reale figura, identità, malgrado con l’aiuto di Franci sposti il tavolino per verificare se i protagonisti che sfilano nel suo studio conoscano o meno la stanza , essendovi spesso stati quali popolani. Dopo la protesta del dottor Bassetti, cui dà risalto un inviperito Filippo Luna che se guarisce, sana con efficaci rimedi, i suoi malati non viene ringraziato giacché si crede sia un miracolo come a Lourdes o Fatima, mentre nel caso di morte lo s’aggredisce come agiscono spesso i parenti dei malati nei nosocomi attualmente allorché  un caso grave finisce male oppure a scuola con i docenti e da  ultimo abbiamo gli accotellamenti del professore per un brutto voto ad Ostia ed in Lombardia. Padre Salviati con un’accorta e violenta perorazione chiede il sussidio dello Stato per un’amante che sta per dare alla luce il pargolo di un autista adultero e fedifrago che ha già due figli e non ne vuole sapere nulla , minacciando lei di provocare uno scandalo lasciando il nascituro in Chiesa, invece che nella ruota dei conventi come succedeva allora od in ospedale  adesso. L’impetuoso ecclesiaste è ottimamente reso da Gennaro De Sia, mentre Lucia Petrella è la donna vestita di nero ed enigmatica figura di pietosa donna dall’esistenza randagia che nella caverna sulla montagna non sa più come alimentare il suo piccolo e rivendica un sussidio, alla maniera di Gerolamo Pica sostenuto da Demian Troiano Hackman che vorrebbe la licenza per la farmacia comunale che un tempo i suoi antenati avevano e poi  era stata loro  tolta in quanto gli eredi erano laureati in chimica. Disperato Gerolamo non si regge più dal drastico furore a crepacuore che s’impossessa di lui e muore in scena, alla guisa di A. Toscanini sul podio, rammentandoci le novelle “Cecè “ e “La patente” di Pirandello; perciò  in più dettagli si sente, avverte, il marchio e sigillo di Pirandello sulla commedia, a partire dal riconoscimento o meno in siffatti soggetti degli attori cui alludeva Campese oppure di veri ed autentici cittadini  amministrati dal prefetto De Caro, che cade in una profonda prostrazione ed angoscia non sapendo risolvere il mistero che ci riporta a come un essere umano possa diventare uno scarafaggio in F. Kafka, secondo l’ammonimento di Dante. De Caro desidererebbe che Campese lo togliesse dall’imbarazzo, ma il capocomico obietta che se è un attore andranno tutti e due dal giudice, nel caso contrario vi si recherà unicamente il funzionario per la privazione dei legittimi diritti av alcuni suoi cittadini, che ne avevano fatto richiesta. La commedia scritta nel 1964 è infatti la manifestazione di quelle domande urgenti, come la fine dei decessi sul lavoro o ”Morti bianche”, lavoro e piena occupazione, lotta all’inflazione ed evasione, che sono sempre più inderogabili in simili frangenti. Il potere si regge sul fine del bene comune e non per successione dinastica o diritto divino, come avveniva fino al Seicento nelle Monarchie Assolute, per cui se vuole avere la fiducia del popolo che è sovrano ed elegge i propri rappresentanti deve esaudirne le speranze e volontà, impellenze imprescindibili. Il Gabinetto o stanza del Prefetto che è il luogo in cui si svolge la pièce, quale può essere un “Teatro da Camera”, è stata disegnata da Marco Rossi con le struggenti musiche finali di Giovanni Vitaletti ascoltando canzoni di F. De André , rispetto all’avvio della commedia in cui abbiamo udito suggerimenti didascalici per la prova d’attore e confidenze drammaturgiche di Eduardo. Tutti gli attori hanno ben lavorato nella loro parte ed interazione sinergica con squillanti e chiari dialoghi che hanno denotato l’importanza sociale , politica e culturale dell’argomento chiave, per cui l’indimenticabile illustre mentalità profonda e cogitante, come teorizzava Cartesio, di Eduardo intese realizzare il copione, che sarà replicato all’Argentina fino al 19 maggio. In conclusione Alesi è stato in grado di portare alla ribalta la relazione che ci deve essere tra istituzioni pubbliche, apparato statale  amministrativo e teatro o cultura in genere, restituendo ad ogni settore artistico la sua insostituibile funzione di riscatto ed emancipazione delle classi più semplici e povere, come intendevano fare I. Silone, R. Scotellaro e C. Levi tra gli altri nel secondo Novecento.

Giancarlo Lungarini  

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