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Tradimenti con crisi di coppie e atrofia sentimentale in “Diari d’amore” all’Argentina

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Ognuno di noi dotato di risorse naturali, acutezza d’ingegno e spirito d’appercezione sensitiva e spirituale con la passione per un determinato campo del sapere o settore professionale e d’elaborazione realizzativa, dovrebbe sfruttare queste sue qualità per accrescere la sua operatività e cogliere ricompense con la gratificazione del suo esercizio applicativo in quegli ambiti in cui non ha ancora sperimentato il suo valore e le capacità innate di cui potrebbe esser fornito. Ispirandosi a codesta riflessione, il regista Nanni Moretti  uno dei nostri migliori direttori del “ciak, si gira”, dopo essersi dedicato al cinema politico con ottimi risultati, basti ricordare “Palombella rossa” ed “Il camaleonte” con lo studio del tecnocrate “leader” Berlusconi, per finire con la pellicola riservata al regista ribelle, bizzarro e polemista con “Il Sol dell’Avvenire”, ha deciso di sperimentare anche la regia teatrale ricavandola da due racconti velenosi di fallimenti familiari, tratti dalla raccolta “Diari d’amore” della conclamata scrittrice di successo Natalia Ginzburg. L’analitica indagine sociale dell’autrice dentro il nucleo primario della società civile è caratterizzata da una profonda amarezza e negatività in quanto, secondo la sua prospettiva d’osservazione, le relazioni familiari finiscono per lo più per scoppiare, il pieno romanticismo dei primi tempi svanisce e non resta che il senso di frustrazione, il non avere più niente da dirsi e vivere asfitticamente dentro le pareti domestiche ciascuno per proprio conto, se non si vuole o non si può arrivare alla rottura definitiva, magari poiché ci sono i figli oppure lei non è autosufficiente ed indipendente. Subentra talora la gelosia con i femminicidi o la violenza ed i soprusi giacché si crede d’aver diritto a qualcosa che non c’è più, ovvero ci si ignora, con il quotidiano lasciato ad effimere e fortuite emozioni con una bassezza etica non più in grado di chiedersi reciprocamente perdono e provare a ricominciare, ravvivare i sentimenti che giorno per giorno inaridiscono e vengono meno se non si trasformano in avversione per quello che prima era il partner o l’amante. Siamo al livello dell’atarassia epicurea, della mancanza di palpiti e sussulti psichici, d’un deprimente vuoto interiore  incapace di partecipare degli affetti  ed inclinazioni sensuali dell’altro che, con l’alfa privativo  greco, definiamo “apatia” e non diamo più frutti di felicità, gioia e soddisfazione per noi ed il trascurato compagno/a d’un tempo. La Ginzburg ce lo dimostra denunciando con spietato sarcasmo ironico e triste epilogo il venir meno dei principi e costumi della “middle Class” o società borghese in due commedie da “teatro da camera” della durata complessiva di quasi 100 minuti e di cui sono protagonisti come moglie e marito in entrambe Valerio Binasco ed Alessia Giuliani con una stupenda interpretazione fonetica ed una vasta gamma d’atteggiamenti espressivi dei diversi stati d’animo situazionali. Il primo pezzo è “Dialogo” con Marta e Francesco che iniziano a discutere fin dal momento del risveglio nel loro talamo matrimoniale della condizione in cui ristagna il loro matrimonio, di quanto ancora condividono nella loro esistenza finché lei confessa d’averlo ingannato con il rapporto sessuale adultero con il cugino Michele e lui assorbe la “botta” con inerte rassegnazione, filosofica indifferenza , inettitudine depressa e non all’altezza d’una qualsivoglia reazione da soggetto che tiene al proprio onore e dignità, intoccabile reputazione.L’unica cosa che Francesco sa fare è minacciare di portare in casa un cagnaccio che Marta non sopporta e di cui ha una certa paura ed orrore. Ci si aspetterebbe uno scatto d’ira del personaggio cui dà vita il virtuoso Valerio, tuttavia questo manca e l’individuo si fa scivolare tutto addosso quale è “L’uomo senza qualità” di Musil per cui non scatterà la tragedia come nei classici ellenici, bensì si rimarrà in un’insulsa e relativa, apparente, pacificazione opportunistica piccolo borghese. Più organica, strutturata, elettrizzante, è la seconda storia intitolata “fragola e panna” in cui Flaminia è sola nel suo villino o “cottage” di campagna , dopo aver subito l’onta del tradimento da parte del coniuge Cesare, per cui è mesta, afflitta e morta metaforicamente come una candela “a cui è stato strappato lo stoppino”, quando improvvisamente si presenta alla porta una giovane discinta e con una vecchia valigia retta da uno spago. Confessa d’essere stata la fiamma del marito di lei Cesare e che, abbandonata nei primi tempi dalla madre e con un padre che non ha mai conosciuto, è stata educata sommariamente dalla nonna che non le ha dato né arte e né parte, limitandosi a comprarle un gelato con i gusti del titolo. S’era poi sposata con Paolo giovane di scarse possibilità economiche, al punto da tradirlo con il più agiato borghese Cesare. Ora la ragazza, cui Arianna Pozzoli imprime la giusta dimensione di sbandata, disorientata e confusa sul da farsi, rivela tutto alla padrona Flaminia, la disinvolta ed impeccabile nella “performance “di classe Giuliani, invocando un suo aiuto per mangiare e far fronte all’impellenti necessità economiche, non sapendo dove andare. Tuttavia la dolce e fiera proprietaria dell’alloggio non la gradisce giustamente con sé, avendo fatto naufragare il suo matrimonio, per cui l’elargisce una discreta somma e vorrebbe liberarsi di lei, ma la sorella Letizia con l’altruismo generoso impersonato da Giorgia Senesi e la domestica Tosca nei cui panni c’è Daria Deflorian le vengono incontro e le trovano un alloggio nei Castelli da delle suore, pur se lei è riottosa alla soluzione proposta e dichiara che si getterà nel Tevere per la disperazione. Cesare rifiuta di soccorrerla ulteriormente e d’essere suo amico dato che in una relazione finita male non  può sussistere alcun sentimento, al punto che Flaminia mantiene lo scetticismo e l‘acida avversione verso il marito d’un tempo, desiderando essere chiusa in quella magione consolandosi con il pianoforte fino all’ultimo giorno di vita, senza nemmeno una coesistenza in stanze differenti come fratello e sorella. Per Cesare non v’è compatimento per la povera seduttrice del passato ed eloquentemente afferma “Si getti pure nel Tevere!” alla maniera della celebre canzone romana “Er barcarolo”.In codesta seconda commedia scritta nel 1966, mentre “Dialogo” è del 1970, i contrasti sono dialetticamente aspri e duri, però non riescono a mutare gli asfittici e retorici vincoli di coppia , che si porteranno avanti per forza d’inerzia da parte di larve umane non più in grado di provare affetti e sentimenti, per aver bruciato con sciagurata deontologia comportamentale tutto l’afflato umano e spirituale del loro sentire. Gli interni della stanza da letto o “cubiculum” nel primo pezzo e del soggiorno nel secondo più lungo e ricco di suggestioni emotive sono stati disegnati da Sergio Tramonti. Lo spettacolo prodotto specificatamente dallo Stabile di Torino, con altri importanti supporti a collaborazione attuativa, sarà in scena all’Argentina o Stabile di Roma fino a domenica prossima festa della Repubblica, mentre si profila il “premierato” come la Cancelleria in Germania.

Giancarlo Lungarini

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