L’importanza di non essere juventini. Sopraffazioni, prepotenze, astuzie…e se lo fossimo tutti?

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Il calcio, si sa, è lo specchio della società. Una frase, un’affermazione, che come un mantra avvolge di significato le quattro situazioni rappresentate sul palcoscenico del piccolo teatro Kopò. Si potrebbe pensare che il titolo di questo spettacolo sia furbo, uno specchietto per le allodole, tanto per attirare spettatori convinti di assistere ad uno sproloquio anti juventino. In realtà è un intelligente e divertentissimo quadro di ciò che siamo noi tutti, non la fumosa società civile che nelle sue nefandezze è sempre costituita da fantomatici “altri”, è chiaro. Uno spaccato, comico per carità, delle nostre vite in quattro situazioni – tipo. Il lavoro, le considerazioni di due anziani, la tribuna politica con il politico impenitente e scaltro, addirittura due bambini e i loro giochi, apparentemente innocui. Non si agisce mai per giustizia, ma per piccoli, meschini favori personali, per sopraffare il prossimo, per ribadire la propria supremazia sociale, costi quel che costi. I rapporti sono costruiti su questo pilastro, marcio, che mina la credibilità di tutto quel che costruiamo, alimenta il rancore. Se tutto ciò che funziona sta al Nord (e verrebbe da pensare che tutti siamo a Sud di qualcun altro), ci si accontenta di essere l’ultima ruota del carro vincente, pagando il prezzo di rimanere Ascari, ignari e contenti di esserlo, senza far nulla che possa bilanciare l’ingiustizia. “Tanto tutto si compensa”, ci fanno credere. Tutto viene travisato per difendere i propri interessi, tutto viene astutamente contraffatto per indurre in confusione quei pochi interessati alla verità. Quel che fa il politico disonesto, ma “piacione”, che si vanta di essere amato dai bambini, di saper raccontare barzellette, di essere telegenico, che ride negando l’evidenza mentre ruba milioni dalle tasche dei cittadini che, beoti, ridono davanti alla TV. Un Paese (un mondo?) senza speranze, se anche due bambini, nelle loro dinamiche di gioco, rispecchiano la volontà prepotente dei grandi, in cui uno domina e l’altro è dominato, in un ciclo che si perpetua all’infinito. Uno ricco e l’altro povero, il culto della competizione, il gusto sadico nel denigrare l’altro, una realtà amara in cui la cicogna è mandata in pensione, perché anche “i bambini si fanno con i soldi”. Si ride, si sorride, ci si fa seri. Lo schema della piccola pièce si riflette negli spettatori. La bellezza della comicità sta anche in questo: ridere di ciò che non fa assolutamente ridere. Fulvio Maura e Angelo Sateriale ci regalano un’ora di divertimento parlando di noi stessi. Pippo Fava, poco prima di essere ucciso dalla mafia nel 1984, diceva che questa era imbattibile perché tutti siamo, a nostro modo, mafiosi. Tutti ci prestiamo alle dinamiche di sopraffazione per ottenere piccoli vantaggi. Per poi lamentarci degli altri, naturalmente.

Il calcio è lo specchio della società, perciò… l’importanza di non essere juventini! Ma Sateriale e Maura, bravissimi e naturalmente simpatici, instillano un dubbio atroce, se ci si spinge ad un altro livello di lettura della loro esibizione: e se fossimo tutti juventini?! Homo homini lupus…, ma lasciateci una speranza.

Paolo Leone

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