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“In memoria di un poeta fanciullo…”. Poesia di Salvatore Di Marzo

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In memoria di un poeta fanciullo…

In memoria di un poeta fanciullo

Ricordi, amico mio poeta, quando

gli astri remoti ancora il firmamento

interminato e alto di bagliori

apparenti adornavan? In quei fiochi

lumi scorgevi le visioni vaghe

di contrade lontane, mai esistite,

i delirî del cuore, le speranze,

il dolce amore, e amare le illusioni.

Dimmi, ricordi, amico mio poeta?

Ivi l’alba del mondo, ivi il tramonto,

ivi le verità profonde e arcane

dai millenni sommerse, l’infinito.

Di quegli umori si bagnava il canto

della tua lira che i fanciulli, intesi

a immaginar, carpivano il disegno

dei tuoi versi ascoso sotto i veli

delle terrene cose e manifeste.

E ispirava la somma tua arte a volger

lontano verso il cielo, in su le stelle,

i guardi delle umane schiere, in alto,

oltre le stelle, fuor di sé, lontano…

Ma ora, amico poeta, qual mirare,

a qual cielo rivolger vaghi i guardi

se fosco pur di luci omai fittizie?

Ove più quei barlumi eterei e lieti

se innatural mattina il vespro infrange?

Non tralucon le stelle dagli spessi

aloni che la sera abbuian. Spento

giace ogni antico sentimento in quei

che questo vero buio induce a stare

china la vista, spente le emozioni,

vuoto di care imago il pensamento.

Dimmi, ricordi, amico mio poeta?

Ricordi, almeno tu, il fulgore ardente

di quegli strali fiammeggianti piover

vago dall’aer sereno e luccicare

sulle sensuose membra della nuda

Estate che saltando cadde, ansiosa

e ridente, nei molli campi in fiore,

o lampeggiar coi fulmini di giogo

in giogo erranti e per le gravi nubi

di ghiaccio – lì battaglian fieri i venti,

s’ode il clangor dei brandi, e le scintille,

ed il cozzar furente dei boati –

sopra quelli scagliarsi scatenate

a un cenno dell’Inverno condottiero?

Ricordi, amico mio, la calma sera,

e l’immobile luna, e la tempesta?

Ricordi il candido baglior dell’alba?

E nei tuoi occhi fanciulli ed innocenti

del sol la meraviglia ammiro infusa

e vergin del corrente pensiëro

di illuminate leggi che altri innalza

qual sole verità; così, in profondo

il ciel scrutando e intero, imprende il petto

un che d’inesprimibile segreto.

Pur dimmi, or dimmi qual di quelle spente

luci al cuor e in su i labbri versa un canto?

Qual può destar soave un sentimento?

Di queste fredde lampe pur rimane

la tenebrosa veste che ha intrecciato

l’uomo alle sue ombre, stolto sé accecando.

Ma se intenti scrutiamo forse ancor

ci appare di una stella vago il lume

e nel suo fuoco il nostro antico stato,

sicché, oh poeta, spandi l’armonia

del canto imperitura, imbevi il verso

di arcana verità, onde ancor sovviene,

e io ne rimembro l’eco sospirando,

omai fuggita la fanciulla etade.

 

Salvatore Di Marzo

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