In memoria di un poeta fanciullo…
In memoria di un poeta fanciullo
Ricordi, amico mio poeta, quando
gli astri remoti ancora il firmamento
interminato e alto di bagliori
apparenti adornavan? In quei fiochi
lumi scorgevi le visioni vaghe
di contrade lontane, mai esistite,
i delirî del cuore, le speranze,
il dolce amore, e amare le illusioni.
Dimmi, ricordi, amico mio poeta?
Ivi l’alba del mondo, ivi il tramonto,
ivi le verità profonde e arcane
dai millenni sommerse, l’infinito.
Di quegli umori si bagnava il canto
della tua lira che i fanciulli, intesi
a immaginar, carpivano il disegno
dei tuoi versi ascoso sotto i veli
delle terrene cose e manifeste.
E ispirava la somma tua arte a volger
lontano verso il cielo, in su le stelle,
i guardi delle umane schiere, in alto,
oltre le stelle, fuor di sé, lontano…
Ma ora, amico poeta, qual mirare,
a qual cielo rivolger vaghi i guardi
se fosco pur di luci omai fittizie?
Ove più quei barlumi eterei e lieti
se innatural mattina il vespro infrange?
Non tralucon le stelle dagli spessi
aloni che la sera abbuian. Spento
giace ogni antico sentimento in quei
che questo vero buio induce a stare
china la vista, spente le emozioni,
vuoto di care imago il pensamento.
Dimmi, ricordi, amico mio poeta?
Ricordi, almeno tu, il fulgore ardente
di quegli strali fiammeggianti piover
vago dall’aer sereno e luccicare
sulle sensuose membra della nuda
Estate che saltando cadde, ansiosa
e ridente, nei molli campi in fiore,
o lampeggiar coi fulmini di giogo
in giogo erranti e per le gravi nubi
di ghiaccio – lì battaglian fieri i venti,
s’ode il clangor dei brandi, e le scintille,
ed il cozzar furente dei boati –
sopra quelli scagliarsi scatenate
a un cenno dell’Inverno condottiero?
Ricordi, amico mio, la calma sera,
e l’immobile luna, e la tempesta?
Ricordi il candido baglior dell’alba?
E nei tuoi occhi fanciulli ed innocenti
del sol la meraviglia ammiro infusa
e vergin del corrente pensiëro
di illuminate leggi che altri innalza
qual sole verità; così, in profondo
il ciel scrutando e intero, imprende il petto
un che d’inesprimibile segreto.
Pur dimmi, or dimmi qual di quelle spente
luci al cuor e in su i labbri versa un canto?
Qual può destar soave un sentimento?
Di queste fredde lampe pur rimane
la tenebrosa veste che ha intrecciato
l’uomo alle sue ombre, stolto sé accecando.
Ma se intenti scrutiamo forse ancor
ci appare di una stella vago il lume
e nel suo fuoco il nostro antico stato,
sicché, oh poeta, spandi l’armonia
del canto imperitura, imbevi il verso
di arcana verità, onde ancor sovviene,
e io ne rimembro l’eco sospirando,
omai fuggita la fanciulla etade.
Salvatore Di Marzo