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Jonathan Pryce e Shakespeare’s Globe in un “Merchant of Venice memorabile”

Data:

Dal 19 al 21 ottobre 2016 al Teatro Goldoni di Venezia

The Merchant of Venice è opera dai contorni indefiniti, difficile da inserire in un genere ben preciso causa la compresenza di contrastanti livelli drammaturgici. Inafferrabile, come l’identità del Bardo, il pieno senso dell’intera vicenda, frammista com’è di ambiguità, ipocrisie e contraddizioni. Da un lato tre storie d’amore, dall’altro la sete di vendetta di Shylock contro l’odiato Antonio, ma stabilire chi davvero esca vincitore e chi vinto non è affatto semplice. Il Teatro Goldoni lo propone ad apertura di stagione, primo titolo di un focus dedicato all’autore a 400 anni dalla morte. Direttamente da Londra, il Globe porta a Venezia un allestimento riuscitissimo da cui devono imparare quei registi italiani, visti in passato anche qui, che ancora speculano futilmente sul capolavoro shakespeariano. Non servono infatti sterili elucubrazioni quando la tradizione fornisce già gli elementi del successo, questa la lezione impartita dal regista Jonathan Munby che non stravolge il testo, ma vi aggiunge piccole modifiche senza intaccarne la coerenza drammaturgica. Un prologo piuttosto lungo vede entrare in platea le maschere, omaggio alla febbrile atmosfera del Carnevale, e a seguire un breve masque amoroso. Launcelot Gobbo, di cui si apprezza la brillante inflessione cockney di Stefan Adegbola, interagisce col pubblico per ricreare la lotta interiore fra Diavolo e Coscienza. Munby infine concretizza il battesimo dell’usuraio, finale di grande impatto emotivo ove ancor più si palesa il contrasto tra ebrei e cristiani mentre il disperato canto di Jessica (conscia del male fatto al padre?) si mischia al Credo latino.

La scena disegnata da Mike Britton, una semplice struttura di legno nero tra colonne corinzie, riproduce a grandi linee il palco del Globe. Sontuosi e seducenti i costumi, anch’essi di Britton, perfettamente in stile, con damaschi, velluti e tessuti d’eccezionale fattura. Il light design di Oliver Fenwick, fatto di bagliori dorati che idealizzano la reggia di Portia e di mezz’ombre che rimandano a una Venezia sordida, è semplicemente geniale. Funzionali le musiche originali di Jules Maxwell come riempitivo di passaggio tra scene e commento sonoro.

Motivo d’interesse primario lo costituisce Jonathan Pryce nei panni di Shylock. L’attore hollywoodiano, celebre per Pirates of Carribean e Game of Thrones, vincitore d’un doppio Oliver e un Tony Award, offre una lezione da manuale. Dagli a parte durante la contrattazione con Antonio alla famosa tirata del terzo atto («Hath not a Jew eyes? Hath not a jew hands, organs, dimensions, senses, affections, passions?»), dal pianto sul patrimonio perduto al processo, ogni battuta è un pugno allo stomaco dello spettatore, quanto i gesti sempre curati e mai fuori luogo. Triste destino quello dell’ebreo, doppiamente umiliato, da una donna (vestita da uomo) e dalle serenissime leggi, verso cui non si può che provare pietà. Munby non ne ha di compassione e rincara la dose se anche gli sputi rivolti al “diverso” sono veri, quanto il vomito di Gratiano nel primo atto. L’inserimento di brevi dialoghi in yiddish con Jessica rimarca l’estraneità di Shylock alla società cittadina.

Il lavoro severo del regista sugli attori restituisce personaggi dai caratteri netti. Fin dalle prime battute si palesa, circostanza rara in Italia, l’omogenea professionalità dell’intero cast che sa rispettare tempi perfetti complice l’affiatamento collaudato. Si ha l’impressione, se non addirittura la certezza, che ogni attore sappia, nel caso serva, sostituire qualsiasi ruolo diverso dal proprio tal è la completezza formativa raggiunta. Rachel Pickup è Portia sublime, dal portamento regale, mentre dotata di un irresistibile sense of humor tipicamente britannico è la Nerissa di Dorothea Myer-Bennett. Jessica, la tormentata figlia di Shylock desiderosa di farsi cristiana e d’essere accettata a Belmonte, è Phoebe Pryce, attrice partecipe e modesta cantante. Morocco e Arragon, in ordine Giles Terera e Christopher Logan, stemperano nella comicità mai eccessiva le tinte della tetra vicenda. Dominic Mafham è un Antonio ben calato nel malinconico amore impossibile per Bassanio e Munby fa capire chiaramente che né denaro, né navi, né rivalse personali colmeranno il suo vuoto interiore. Il Bassanio di Dan Fredenburgh è più vitellone che corteggiatore sensuale, attributo confacente invece al Lorenzo di Andy Apollo. Tra gli amici del mercante si distingue il rosso Gratiano di Jolyon Coy, dotato d’ottima verve e carismatico portamento. Bravi i rimanenti membri della compagnia.

Tantissime scolaresche educate riempiono la sala alla pomeridiana del 20 ottobre, standing ovation per Pryce al termine e applausi entusiasti per tutti.

Luca Benvenuti

 

The Merchant of Venice
di William Shakespeare
Personaggi e interpreti:
Shylock: Jonathan Pryce
Antonio: Dominic Mafham
Bassanio: Dan Fredenburgh
Gratiano: Jolyon Coy
Lorenzo: Andy Apollo
Solanio: Raj Bajaj
Salerio: Brian Martin
Portia: Rachel Pickup
Nerissa: Dorothea Myer-Bennett
Jessica: Phoebe Pryce
Launcelot Gobbo: Stefan Adegbola
Prince of Arragon/Stephano: Christopher Logan
Prince of Morocco: Giles Terera
Balthasar: Colin Haigh
Duke of Venice/Tubal: Ignatius Anthony
Ensemble: John Hastings
Ensemble: Meghan Tyler
Regia: Jonathan Munby
Scene e costumi: Mike Britton
Lighting designer: Oliver Fenwick
Musiche: Jules Maxwell
Produzione: Shakespeare’s Globe e Dominic Dromgoole
Foto di scena Marc Brenner

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