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“Danza Macabra”. I vampiri di Strindberg

Data:

Teatro Verdi, Padova, 23 aprile 2016

Crisi coniugale d’inizio secolo. Edgar, capitano dell’esercito, e Alice, ex attrice non affermatasi, celebrano il rito perpetuo dell’amore mai nato, vissuto per venticinque anni su menzogne. Rinchiusi tra le mura della “torre rotonda di una fortezza in pietra grigia”, collegati al mondo esterno solo dal telegrafo, i coniugi bisticciano, recriminano, insultano, persi nella monotonia quotidiana. Sarà l’arrivo di Kurt ad innescare un diversivo, un perverso gioco delle parti tra i due “vampiri”, impegnati a recitare la loro tragedia ovvero il racconto soggettivo della vita di coppia.

La versione originale di Danza macabra di August Strindberg, datata 1900, venne integrata da una seconda parte nel 1901 per stemperare, a detta del traduttore Emil Schering, acredini con la censura tedesca, sembrando la pièce eccessivamente cupa. Nel 2014 al Festival dei 2Mondi di Spoleto debuttò l’allestimento curato da Luca Ronconi. Roberto Alonge adatta e traduce solo la prima sezione, sfrondandola ulteriormente di tre personaggi e alleggerendo così la durata a novanta minuti. Vampiri, dicevo, e in effetti tali sono Edgar, Alice e Kurt se li leggiamo in un’ottica relazionale, cioè succhiatori inesausti dell’esistenze altrui. In realtà, sono anime banali, come tante se ne trovano oggigiorno, che spinte da noia e disillusione scalpitano per guadagnare briciole d’autoaffermazione.

Di riuscito impatto è la scena creata da Marco Rossi, giocata su toni neri, a ben ribadire la condizione funerea in cui versano gli sposi, e composta da un divanetto, un telegrafo, un alto letto, una dormeuse, un pianoforte, una sedia, una lampada sullo sfondo d’una parete grezza con due piccole finestre. Valorizzato al massimo dalle luci verdastre di A. J. Weissbard, l’arredamento scivola in direzione delle quinte, come se fosse proprio una burrasca a deciderne la disposizione. In quest’atmosfera tetra, di cui pare percepire l’odore del salso, si mischiano suggestive iconografie steampunk e burtoniane, confermate dai costumi di Maurizio Galante che fasciano il trio nel lutto eterno.

Dichiarava il compianto Ronconi al Corriere della Sera del 4 giungo 2014 di non trattarsi “del solito triangolo borghese lui-lei-l’altro, ma di un grottesco gioco teatrale che, prendendo le mosse da una crisi coniugale realistica, sconfina in una dimensione fantastica”. L’intento riesce nel grottesco, ma s’inceppa nel fantastico, ricreato attraverso avulse atmosfere da vaudeville, con mossette e smorfie di dubbia riuscita. Per tacere dei morsi sul collo, inefficaci se ripetuti più del dovuto. Voler parodiare il senso del tragico che abita molta letteratura nordica può essere una lente sotto cui porre un testo, ma personalmente lo trovo riduttivo. Costretta in tali scelte, Adriana Asti è l’unica dei tre che vada oltre a una recitazione superficiale, dimostrando grande carisma nel vivere la dualità mefistofelica di Alice, umana nei moti di rivalsa contro l’autoritarismo maritale, diabolica con Kurt. Molte riserve permangono sull’Edgar di Giorgio Ferrara, un capitano uscito da Sturmtruppen, tutto boccacce, pantomime e recitazione secca, privo di qualsiasi autorevolezza drammaturgica. Giovanni Crippa delinea un Kurt affettato e manchevole di personalità.

Il pubblico, non numeroso, si diverte. Immancabili i calorosi applausi. Impressi nella mente, anche da lontano, i grandissimi occhi di Asti, degni della più talentuosa diva.

Luca Benvenuti

 

Danza macabra
di August Strindberg
traduzione e adattamento Roberto Alonge
Personaggi e interpreti:
Edgar, capitano d’artiglieria di fortezza: Giorgio Ferrara
Alice, sua moglie, ex attrice: Adriana Asti
Kurt, ufficiale di quarantena: Giovanni Crippa
Regia: Luca Ronconi
Scenografia: Marco Rossi
Costumi: Maurizio Galante
Luci: A. J. Weissbard
Suono: Hubert Westkemper
Produzione: Spoleto57 Festival dei 2Mondi, Teatro Metastasio Stabile della Toscana in collaborazione con Mittelfest 2014
Foto Luigi la Selva

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