Dal 19 aprile all’8 maggio 2016 al Teatro Vittoria di Roma
Ultimi giorni per vedere in scena Ascanio Celestini al teatro Vittoria; per l’occasione l’io monologante dell’attore s’é declinato in una trilogia composta dagli spettacoli “Laika”, ultima sua fatica teatrale, e gli acclarati successi “Discorsi alla nazione” e “Radio clandestina”.
Comune denominatore tra i tre momenti, ovviamente, la presenza dell’attore che, nel primo spettacolo, si articola nella narrazione della vicenda troppo umana d’un Cristo disilluso che torna tra gli ultimi, i derelitti della società: una puttana, un cieco, un’anziana demente ed un negro mendicante. É un cristo annoiato ed anzi incurante della presenta mistica del Padre, il grande assente, rivoluzionario nel predicare fattivamente la disillusione, forse il fallimento della religione nella vita dell’uomo, che si connota comunque d’una sua epica, fatta d’eroi straccioni e sconfitti. Un’epica della sofferenza, la mordacia di un Cristo che se non salva, almeno illumina.
Ed é impossibile restare indifferenti alle parabole dell’attore romano, al fatto, alla diceria, alla cronaca, all’episodio narrato che ritorna in più occasioni, ed il caso della strage delle Fosse Ardeatine, che in “Radio Clandestina”é affrontato a più voci, sempre la stessa, quella dell’attore che narra muovendo da quanto in prima persona ha ascoltato, una testimonianza, nell’oralità che riacquista funzione sacrale di trasmissione, di messa in evidenza, di presentazione, di una vicenda che il passato non può e non deve assimilare al suo flusso obliante.
E contestualmente, al crimine delle fosse viene associate la messa in scena, narrata, d’una città deterritorializzata, nello specifico Roma capitale, una città che mutandosi nel tempo s’ estesa, sempre a detrimento di chi abita in periferia, condannato a spostarsi, ad emigrare sempre più lontano dal centro. Un centro in cui agli umili non é dato alcun riconoscimento.
E tutto ciò Celestini lo affronta con abilità magistrale, scegliendo sempre per narrare il registro della sagacia, dello humor nero, piuttosto che della pietà. Drammaticità del comico, quando mordace.
“Discorsi alla nazione”é invece la distopia d’un condominio, microcosmo simile ad un paese occidentale, in cui il passato é una carcassa ingombrante su cui nessuno vuole gettare lo sguardo, ed i condomini tutti invocano l’arrivo d’un uomo della Provvidenza, un portinaio, che assolva il loro sguardo dalla orrorifica visione, e che tutto sappia risolvere con fare deciso.
Il dittatore che parla sfrontatamente alla nazione, che si rivolge ai condomini, coloro che per non voler vedere direttamente ed affrontare, che per tutto delegare, l’hanno reso impunibile e plenipotenziario. E “Discorsi alla nazione” si apre con un invito al pubblico, un invito ad essere presenti, a partecipare, Celestini dalla platea si dirige alla ribalta, presenta, dialogando con il pubblico ciò a cui loro stanno per assistere, mettendo in atto, anzi improvvisando, un corto circuito tra l’immediatezza dell’evento e la predeterminazione dello spettacolo. Fino alla fine del primo monologo, cioè fino all’inizio dello spettacolo, non é possibile scindere quanto accade d’improvviso da quanto per copione deve accadere. Oscenità del genio.
Bernardo Tafuri