Cavalleria rusticana al Teatro Antico di Taormina

Data:

Teatro Greco di Taormina, dal 2 agosto 2016

Ormai è diventata un appuntamento fisso dell’estate la rassegna Taormina Opera Stars presso il Teatro Antico, luogo d’incanto e suggestione della Sicilia orientale. Cavalleria rusticana, a cui seguirà Tosca, ha aperto il cartellone il 2 agosto. Da quando nel 1889 vinse il concorso indetto dalla Casa editrice Sonzogno per atti unici, Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci tratto dall’omonimo dramma di Verga che a sua volta rimanda alla novella, è stato quasi sempre rappresentato insieme a Pagliacci di Leoncavallo, datato invece 1892. Ebbene in questo caso a precedere la mise en scene dell’opera troviamo lo spettacolo Urlo mediterraneo, dove in un mix di recitazione e danza si racconta il drammatico tema dell’immigrazione. Le parole pregne, racchiuse nel testo Ritratto di un naufrago zero di Lina Prosa, prendono vita grazie all’intensa interpretazione di Emanuela Muni, che ha sostenuto con passione un lungo e difficile monologo, e si fanno movimento attraverso i ballerini Kristi Ismailaj, Hakik Xhani e Vincenzo Tallarico, dell’ITAI Compagnia di Danza Contemporanea. Laura_Cavallaro_Cavalleria_Rusticana_Corriere_dello_Spettacolo (6)

La chiave coreografica di Lino Privitera, fondatore della Compagnia, è senza alcun dubbio narrativa eppure punta all’emotività e all’estetica attraverso lo stile e la tecnica, tra passi a due, assoli, momenti d’insieme vorticosi e acrobatici e un tappeto musicale che mescola tra le altre cose brani di Beethoven, Schumann e Rossini. Eppure non possiamo far a meno di osservare alcune imprecisioni e sporcature, una sincronia non del tutto perfetta tra i ballerini dove Tallarico è certamente l’anello debole della catena, nonostante a emergere sia la straordinaria fluidità e bravura di Xhani. L’idea di usare delle camere d’aria come se fossero dei gommoni è interessante e permette di lasciare spazio sul palcoscenico favorendo i movimenti coreografici, come anche l’utilizzo di una parete con delle corde che ha permesso ai ballerini di mimare il naufragio. Lo spettacolo in sé è riuscito eppure la ridondanza di parole e l’eccessiva enfasi in alcuni momenti fanno scemare l’attenzione dello spettatore preso da entrambi questi mondi, la recitazione e la danza, che si sfiorano a lungo toccandosi in maniera quasi naturale solo nel finale. Quaranta minuti di teatro danza accolti con lunghi applausi da un pubblico entusiasta. La seconda parte della serata è dedicata ovviamente a Cavalleria rusticana, di cui la trama è conosciuta ai più. La storia narra l’amore di Turiddu per Lola, alla quale si promette prima di partire per il servizio militare. Rientrato, il giovane apprende la notizia delle nozze della fanciulla con il carrettiere Alfio, così per fare un dispetto all’amata seduce Santuzza, la quale invece se ne innamora perdutamente. Quando Lola e Turiddu intrecciano una relazione fedifraga la gelosia di Santuzza, abbandonata ed umiliata, innescherà una serie di eventi che porteranno alla fine drammatica della vicenda. Manifesto di quel Verismo musicale che ben si distinse da quello letterario, l’opera segnò uno spartiacque fondamentale nel modo di vivere il teatro lirico. Uno scatto fotografico della realtà non vissuto in prima persona ma musicato attraverso i racconti dei grandi autori pubblicati da Treves: Verga, Capuana, Serao, Deledda che con arte raccontavano gli ambienti più poveri. Un inizio che prese spunto da un fatto di sangue e che portò più avanti ad esplorare mondi esotici e lontani. Mai nessuno, prima d’allora, aveva portato sulle scene una tragedia passionale contadina o un’opera che ha come tema centrale aspetti della vita quotidiana, a eccezione de La traviata di Verdi. Gli esperimenti bucolici della Gazza ladra di Rossini e della Sonnambula belliniana hanno risvolti postivi lontani dalla truculenza e dal sangue mascagnano. Anche la struttura musicale venne modificata, non più forme chiuse, dunque, dove ogni passaggio era prestabilito ma il personaggio che si faceva parola e voce per raccontarsi senza che vi fosse più giudizio dell’autore. È quanto accade con la Siciliana, una serenata che Turiddu canta fuori scena a Lola e che trasporta lo spettatore in medias res. La potenza dirompente della musica di Mascagni è nuova e diversa, l’azione è serrata, mentre scene e recitativi si susseguono a gran ritmo. L’innovazione della musica viene colta totalmente dall’Orchestra Opera Stars, composta per la maggior parte da giovani musicisti, e diretta appassionatamente dal Maestro Mariano Patti, il quale ha prestato grande attenzioni alle sfumature di quel couleur locale di cui è ricca la partitura, imponendosi con grande forza espressiva nei momenti cruciali e dando grande rilevanza alla sezione dei fiati. Come per Urlo mediterraneo Lino Privitera firma anche qui la regia, puntando essenzialmente sul balletto che inserisce in maniera prepotente ovunque, a partire dall’Ouverture. Non c’è una vera e propria linea registica di fondo e non è del tutto chiara la scelta temporale di ambientare l’opera negli anni Cinquanta, informazione che desumiamo solo dai costumi, anche se sarebbe più corretto dire che questa indicazione è più che altro ravvisabile esclusivamente nell’abito rosa a pois con gonna a ruota di Lola. In effetti lo stile dei costumi, che come le scene è curato da La bottega fantastica, è disomogeneo. Santuzza indossa un abito di stoffa traslucida e sintetica che presenta un taglio impero che poco c’entra con quegli anni dove ad esser sottolineato era il punto vita, le artiste del coro fanno il loro ingresso con vestagliette da casa a fiorellini, i cantanti indossano pantaloni sopra la caviglia, camicie e gilet, insomma come spesso accade lo studio degli abiti di scena viene messo in secondo piano danneggiando l’estetica dello spettacolo. Il tema religioso è presente, con questo Cristo che campeggia più volte sullo sfondo, ma la scelta di farlo interpretare ad un ballerino ne disperde l’impatto narrativo. Non sono mancate le controscene, problema che avevamo già riscontrato nella prima parte della serata, su un palco eccessivamente affollato tra coro, solisti e nutrito gruppo di ballerini. Il regista ha dato l’impressione di essersi concentrato più sull’aspetto della danza e della coreografia che non sulla direzione dei cantanti, per cui a risentirne non è solo l’aspetto artistico ma anche quello interpretativo. Nonostante tutto i cantanti hanno accennato a scavare i caratteri dei loro personaggi, anche se il più delle volte si sono trovati a reiterare gli stessi comportamenti e gesti costruiti su cliché delineando solo in maniera sbiadita i contorni dei protagonisti. È mancata in alcuni casi l’enfasi dei sentimenti ma soprattutto la gelosia e la rabbia montante in Alfio.

Urlo_Mediterraneo_Corriere_dello_SpettacoloFra gli artisti l’apporto interpretativo migliore lo si deve alla protagonista Santuzza, una straordinaria Marianna Cappellani, a cui va dato atto di grande espressività recitativa. Inoltre, forte di una solida impostazione e di una grande tecnica, il soprano si è prestato magnificamente al ruolo sfoggiando frasi pulite e acuti sicuri. Nel duetto con Turiddu, Bada Santuzza schiavo non son, l’intensità emozionale cresce gradualmente accompagnata da un passaggio progressivo della voce dal registro medio a quello acuto, proprio come nel caso del racconto Voi lo sapete o mamma, perfettamente eseguito. Delfo Paone è un buon interprete e veste alla perfezione i panni di Turiddu, il timbro non appare mai sforzato, supportato da agilità vocale e potenza. Meno smalto par avere il Don Alfio di Giorgio Schipa che non dà certamente il meglio di sé nell’aria Il cavallo scalpita, mancando al contrario degli altri protagonisti anche di slancio recitativo.

Urlo mediterraneoNel corso dell’opera la prestazione del baritono migliora sebbene permanga il fatto che sia poco adatto ad alcune sfumature. Degno contraltare vocale alla Cappellani è Sabrina Messina, una Lola consapevole del proprio fascino, smaccatamente civetta forse troppo per il contesto in cui è ambientata l’opera. La donna accenna ad una forma d’imbarazzo solo quando all’osteria appare il marito, ma per il resto la partecipazione emotiva è decisamente debordante. Il timbro è molto potente e compiaciuto soprattutto nel registro acuto, magnificamente rappresentato nel brano Fior di giaggiolo. Il contralto Michela Moroni è una mamma Lucia discreta, limitata nell’emissione e nel volume della voce. Ritroviamo come sempre sulle tavole del palcoscenico, magistralmente diretto da Francesco Costa, il Coro Lirico Siciliano il quale è coinvolto appieno sulla scena dando prova di un’ottima forma vocale, soprattutto nella sezione femminile, di un fraseggio incisivo e una bella omogeneità dopo un inizio un po’ in sordina.

Laura Cavallaro

Urlo Mediterraneo
Ritratto di un naufrago numero zero di Lina Prosa
ITAI Compagnia di Danza Contemporanea
Regia e Coreografia di Lino Privitera
con Emanuela Muni e Kristi Ismailaj, Hakik Xhani, Vincenzo Tallarico
Cavalleria Rusticana
di Pietro Mascagni libretto di G. Targioni e G. Menasci
Interpreti:
Santuzza Marianna Cappellani
Turiddu Delfo Paone
Alfio Giorgio Schipa
Lola Sabrina Messina (02/08); Clelia Croce (22/8)
Mamma Lucia Michela Moroni
Direttore d’Orchestra Mariano Patti (2/08); Salvatore Miraglia (22/8)
Regia e Coreografia Lino Privitera
Orchestra del Taormina Opera Stars
Coro Lirico Siciliano diretto da Francesco Costa
Scene e Costumi La Bottega Fantastica di D. Barbera
Teatro Greco di Taormina

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