Come raccontare un evento storico tremendo, generatore di morte e distruzione, un evento del quale, una volta tanto, l’essere umano non sia stato l’artefice ma la vittima, sopraffatto dalla furia della natura? Come descrivere l’emergere, dopo di esso, della parte migliore delle persone coinvolte, la tenacia, la volontà di superare le difficoltà logistiche andando anche oltre ai protocolli ufficiali, la nascita di una solidarietà vera, concreta, al di là dei confini allora esistenti, perché la vita viene prima? Come esprimere tutto questo senza farne una celebrazione piena di retorica ma vuota di significato e in qualche modo quasi offensiva verso tutti, vittime, superstiti, soccorritori e verso lo spirito delle genti che hanno ricostruito con umiltà e determinazione, in modo silenzioso e pragmatico, mantenendo sempre un grandissimo rispetto per il Genius Loci del proprio territorio, abitato e vissuto da generazioni? Come riuscire in tutto questo?
Andrea Collavino, su invito di Franco Però, decide di farlo intrecciando la memoria recente del Terremoto in Friuli e delle prime scosse di quel tragico 6 maggio seguite da altre, sempre devastanti del 15 settembre, con un Mito fondante la nostra cultura: il racconto della costruzione e della successiva distruzione delle mura di Troia da parte di Poseidone, narrata magistralmente da Omero Antonutti assieme a Maria Grazia Plos e a Riccardo Maranzana, con l’intervento della Corale Renato Portelli di Mariano del Friuli, diretta dal M° Fabio Pettarin.
È uno spettacolo attento, capace di toccarci nel profondo grazie alla creazione di un canale che, attraverso il racconto del narratore, la drammatizzazione degli attori, la presenza in scena del coro e dei musicisti, le voci di testimoni, tecnici e politici di allora (spicca la semplicità di Giuseppe Zamberletti, allora Commissario Straordinario), fa nascere in noi emozioni, suscita ricordi, invita a riflettere sulla grande dignità, serietà e coraggio con cui si agì allora.
Un terremoto non si vede né si sente arrivare finché non si scatena; dopo il boato e la distruzione si resta muti, attoniti, disorientati, oggi come migliaia di anni fa; possiamo ora spiegarlo, ma non prevederlo. Riuscire a rendere in forma di spettacolo tutto ciò richiede una sensibilità rara ed una grandissima consapevolezza, necessaria in tutti a partire dall’idea, passando attraverso la drammaturgia per arrivare alla sua realizzazione in scena. Le musiche scelte ed eseguite dal coro a cappella, cui si aggiungono nel corso dello svolgimento le voci degli strumenti, sono giuste, appropriate al contesto e aggiungono ulteriore energia emotiva, senza mai superare il limite; nel finale la struttura di “Spiegel im Spiegel” di Arvo Pärt si lega in modo sublime alle parole degli attori.
Prodotto da Il Rossetti e dato in prima assoluta il 28 maggio scorso all’interno della Caserma Manlio Feruglio di Venzone, in collaborazione con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e l’Associazione dei Comuni terremotati e Sindaci della Ricostruzione del Friuli a ricordo del quarantesimo anniversario del terremoto, “Genius Loci – dov’era, com’era” andrà in scena a Trieste il 23 settembre alle ore 20.30, trasformando la memoria in qualcosa di utile per il presente non soltanto in senso materiale (ad un mese dalla tragedia, l’incasso della serata andrà alle popolazioni del Centro Italia colpite dal sisma del 24 agosto), ma anche come spunto per pensare ad una realizzazione virtuosa della ricostruzione che verrà: l’esperienza del “modello Friuli”, pur nella sua irripetibilità, può infatti essere ancora presa ad esempio per la progettualità di oggi. All’interno del Duomo di Venzone, paese simbolo di tutto ciò, su di una parete bianca sono stati incastonati i pezzi superstiti di un affresco medievale, riposizionati “dov’erano, com’erano”. Il visitatore che si fermi ad osservarlo può trovarvi un’immagine compiuta di cosa sia la ricomposizione dell’infranto, dopo un qualsiasi terremoto, esterno o interno a noi.
Paola Pini