CRAVE, di Sarah Kane. Chi è dentro, chi è fuori dalla gabbia?

Data:

Teatro India, Roma (Lungotevere V. Gassman) dal 4 al 9 ottobre 2016

Esiste un modo di mettere in scena il tormento esistenziale di una drammaturga controversa e per anni avversata dalla critica come Sarah Kane? Non è certo facile rispondere, come non lo è comprendere appieno le sue opere (cinque in tutta la sua brevissima vita). Ci prova il regista Pierapolo Sepe, in questa edizione di Crave  (febbre), l’ultima ad essere rappresentata prima del suo suicidio nel ‘99, al Teatro India dal 4 al 9 ottobre. Una gabbia è la sua risposta, una rete metallica altissima che separa gli interpreti (bravissimi) dal pubblico, una sorta di zoo umano in cui alla fine non è ben chiaro chi osserva chi. Chi è dentro e fuori la gabbia. Perché le anime dannate, parafrasando il primo testo della Kane, Blasted (dannati, appunto) sono sì quelle di quattro personaggi sui generis, tanto da essere distinti solo da quattro lettere A – B – C – M (author – abusator – , boy, child e mother), ma oltre a rappresentare il pensiero della loro autrice, sono anche le nostre paure, le nostre angosce, i nostri spettri che teniamo a bada e sopportiamo  con grandi dosi di sovrastrutture e accettazione del compromesso costante che è la vita. Quello che non aveva Kane. “Nessuno sopravvive alla vita”.

corriere_dello_spettacoloFebbre, fame. Di vita, di senso. Una narrazione frammentata, schegge che si intrecciano solo apparentemente per caso. Un loop sonoro a cui ci si deve abbandonare per sentire il dolore di chi ha scritto. E di chi osserva ed ascolta. Corpi, identità in cerca di amore eppure tragicamente consapevoli dell’impossibilità di comunicare tra di loro, tra di noi. “Cosa vuoi? – Morire”; “E’ nella natura dell’amore desiderare un futuro”; “Se arrivasse l’amore..” sono il senso della sconfitta eppure di una disperata speranza, negata. Un vortice di parole che rimbalzano, non casualmente, tra un personaggio e l’altro e tra gli spettatori (chi guarda chi?). Il nudo integrale degli attori che si spogliano rivestendosi con gli indumenti degli altri, ci mostra (seppure con un “linguaggio” desueto) l’interscambiabilità delle storie, che possono essere di chiunque e i cui frammenti possiamo riconoscere in ognuno di noi e, chiaramente, nella vita dell’autrice.  Forse un po’ stereotipata, ma la messa in scena è efficace, anche grazie alle musiche ed alla  “scenografia sonora” realizzata con un sistema di microfoni ambientali, che crea suggestioni potenti. La fine della vita come unico modo per uscire dal dolore del rifiuto del compromesso? “Io scrivo la verità e lei mi uccide”, declamano i versi della Kane, che hanno una propria logica. L’unico momento in cui la presa si allenta, è quello di un finale in cui la dolce musica del requiem cantato da Jeff Buckley accompagna gli ultimi movimenti dei quattro, con una danza solitaria di C, tanto bella quanto struggente. Gabriele Colferai, Dacia D’Acunto, Gabriele Guerra e Morena Rastelli sono straordinari nelle loro interpretazioni, frutto di un faticosissimo lavoro, anche fisico.

Tanto pubblico, applausi convinti, ma animi in subbuglio. Chi è dentro, chi è fuori da quella gabbia?

Paolo Leone

Produzione Casa del Contemporaneo presenta:
CRAVE, di Sarah Kane. Regia di Pierpaolo Sepe. Con: Gabriele Colferai, Dacia D’Acunto, Gabriele Guerra, Morena Rastelli. Scene di Francesco Ghisu. Costumi di Annapaola Brancia d’Apricena. Luci di Cesare Accetta. Movimenti di scena Chiara Orefice. Assistente scenografa Christina Psoni

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