Teatro Delfino, Milano. Sabato 29 e domenica 30 ottobre 2016
Il teatro Delfino, diretto da Federico Zanandrea, comincia la stagione 2016/2017 in allegria, e per farlo, ospita, in uno spettacolo inedito, Enzo Iacchetti, che comunque ritorna qui per il terzo anno consecutivo, perché ci racconti, in una sorta di intervista/dialogo, la sua storia artistica. Ma la storia di un artista è la vita stessa, i suoi sogni, le sue sofferenze, le sue battaglie, i suoi successi, è il terreno da cui è nato e da cui ha trovato ispirazione, da cui ha saputo risollevarsi dopo le sconfitte, e in cui è ricaduto se le cose non sono andate bene. E da quella terra fertile, non è facile portarlo via, nemmeno la morte ci riesce. Perché l’opera d’arte sopravvive, anche dopo.
Il pubblico ha bisogno di sentirli raccontare, questi strani eroi, chiede loro di condividere ricordi, sfide, aneddoti, sogni. E allora Iacchetti, si mette a nudo sul palcoscenico di un teatro, il Delfino, che rappresenta una realtà decentrata, di periferia, alle porte di Milano. Ma oggi fortunatamente le periferie non sono più quei ghetti emarginati, dimenticati, difficili da gestire e risanare, sia culturalmente che socialmente. Milano è diventata una città internazionale, che ha inglobato anche le sue realtà più lontane, e questo grazie a politiche sensibili e lungimiranti e soprattutto alla quotidiana fatica degli addetti ai lavori: direttori, artisti, tecnici, addetti stampa, giornalisti e last but not least il Pubblico. Pubblico che in queste due serate, è numeroso e caloroso, e che partecipa allo spettacolo, perché Enzo scende dal “piedistallo” e diventa uno di loro. Perché la sua storia di bambino folgorato dal teatro, che cantava e vinceva nei festival di provincia, le sue umili ma dignitose origini, il suo debutto in un piccolo teatro di Maccagno, sul lago, respirando quella stessa follia di chi passa le giornate al bar, a bere e giocare a carte, tra depressione e spinte suicide, schiacciati dai fallimenti della propria vita, ha qualcosa di universale. Come anche il desiderio di scappare da quella follia, per non rimanerci impigliato e di andare avanti, nonostante essere stato scartato, tante volte, l’essere stato costretto a ripiegare su lavori “normali” per mantenere se stesso e la famiglia, come servire ai tavoli di un ristorante di montagna. Eppure, anche facendo il cameriere, Iacchetti non aveva mai smesso di essere un comico, un poeta, un dispensatore di risate, di surrealismo, per dimenticare e per far dimenticare, almeno per un po’, ma è meglio che niente, le infelicità della vita.
E poi, a forza di tentativi, di fallimenti e di perseveranza, quasi alle soglie dei quarantanni è arrivato finalmente il successo, con il Maurizio Costanzo Show, con il Derby Cabaret, con Striscia la notizia. E recentemente anche con il progetto “Arca” che si dedica all’ascolto, all’aiuto, alla reintegrazione, all’assistenza degli anziani, dei poveri, dei bisognosi.
Iacchetti, stimolato dalle domande, o tentativi di domande di Giorgio Centamore, suo collaboratore e autore, imbastisce un simpatico e caloroso dialogo con il pubblico in sala, trasformando il teatro in un grande salotto, dove sono stati invitati anche lo splendido chitarrista Armando Celso e Gerry Bruno, uno dei comici dell’esilarante gruppo dei “Brutos”, che furono molto popolari in quel tempo in cui c’era meno ma c’era di meglio, in cui la quantità non aveva soffocato la qualità, tempi in cui, come dice Enzo, “era difficile salire al sesto piano”, per chiedere lavoro. Ora, che sono giovanotti di una certa età, Celso e Bruno hanno comunque accettato di suonare e di riportare sul palco il personaggio che lo ha reso famoso e che fa ancora molto ridere il pubblico.
E così, Enzo, Armando e Gerry, con passione e umiltà, hanno riaperto i “taps” (Enzo faceva parte di un gruppo chiamato proprio così), i rubinetti dei ricordi anche in tutti i presenti. Facendoci dimenticare, per due ore e mezzo, che fuori ci avrebbe aspettato la nebbia, la festa dei Santi e la Commemorazione dei Defunti, le notizie di guerre e di terremoti, le vicende politiche e le sofferenze del mondo.
Essere lì, a ridere e a sorridere con Enzo, in una quieta domenica di fine ottobre, non era un’eresia, né una cosa di cui sentirci in colpa. Era solo un modo per esorcizzare la realtà, per trasformare lacrime di dolore in lacrime di allegria.
Grazie Enzo, alla prossima.
Daria D.