Lamerica

Data:

ITALIA  1994  111’  COLORE
REGIA: GIANNI AMELIO
INTERPRETI: ENRICO LO VERSO, MICHELE PLACIDO, CARMELO DI MAZZARELLI, PIRO MILKANI
VERSIONE DVD: SI’, edizione CECCHI GORI HOME VIDEO

 

Albania, 1991: con la caduta del regime comunista di Enver Hoxha il paese è nel caos. Migliaia di persone tentano di fuggire in Italia, respinte da esercito e polizia. Di tale confusione tentano di approfittarne due faccendieri italiani senza scrupoli: il maturo e cinico Fiore (Michele Placido), e il giovane e arrogante Gino (Enrico Lo Verso). L’idea è rilevare un calzaturificio dismesso, fondando una fasulla nuova società italo-albanese, per accaparrarsi così cospicui contributi dal governo italiano; secondo le leggi locali è necessario che il presidente della società sia albanese, così i due si mettono alla ricerca di un prestanome, cioè di un “utile idiota” da manipolare a piacimento. Lo trovano nell’anziano Spiro Tozaj (Carmelo Di Mazzarelli), ex-detenuto politico del regime: malato, pazzo e senza famiglia, Spiro possiede tutti i requisiti ideali per il progetto. Mentre Fiore torna in Italia per “sistemare” alcune questioni burocratiche a Roma, Gino resta a occuparsi del “presidente”. Peccato che, alla vigilia della firma di alcuni importanti documenti, l’anziano sparisca dall’ospizio in cui i due soci lo avevano parcheggiato. Per Gino comincia così una lunga odissea nel cuore rurale dell’Albania alla ricerca del vecchio, che ritroverà soltanto dopo varie peripezie, scoprendo anche che in realtà Spiro è un italiano, siciliano come lui, il cui vero nome è Michele Talarico. L’uomo, arrivato giovanissimo in Albania durante la seconda guerra mondiale, è stato poi imprigionato dal regime subendo, dimenticato da tutti, una detenzione pluridecennale che l’ha sconvolto al punto tale da fargli credere di avere ancora vent’anni e che la guerra non sia finita. Nonostante il ritrovamento di Spiro/Michele, per Gino la situazione si fa sempre più critica: dopo un difficoltoso rientro a Tirana con mezzi di fortuna, riceve una telefonata da Fiore in cui il compare lo informa che il loro piano è saltato; neanche il tempo di realizzare di essere rimasto “a piedi”, che il nostro è arrestato dalla polizia albanese per la tentata truffa. Lo rilasciano soltanto dopo aver ottenuto una piena confessione di colpevolezza e la conferma del coinvolgimento di un funzionario albanese corrotto. Per evitare il futuro processo Gino è costretto a lasciare precipitosamente il Paese ma, privato del passaporto, non gli resta che unirsi agli emigranti e tentare la traversata verso l’Italia in un barcone della speranza, sul quale ritrova il vecchio Michele, che crede di essere in viaggio per l’America…

Dopo Il ladro di bambini (1992), forse il suo film più celebre, Gianni Amelio realizza un altro capolavoro, affidando di nuovo il ruolo di protagonista a Enrico Lo Verso (i due, a degna chiusura di un decennio irripetibile per entrambi, lavoreranno ancora insieme nel successivo Così ridevano, 1998, vincitore del Leone d’oro a Venezia). Come il predecessore, anche Lamerica è un road movie -con lo scenario che dall’Italia si sposta in Albania- che racconta un viaggio in realtà tutto interiore, iniziatico, che qui si risolve in una storia di progressiva privazione, di punizione e, forse, di redenzione: quella di Gino, novello colonialista –emblematiche le immagini dei cinegiornali di propaganda fascista che esaltano l’occupazione italiana dell’Albania, mostrate durante i titoli di testa- giunto in terra straniera ufficialmente come benefattore e portatore di civiltà, in realtà per arricchirsi, forte del proprio senso di superiorità, a discapito di un popolo di “bambini”, come li definisce il suo socio Fiore (“GLI ALBANESI SONO BAMBINI! UN ITALIANO GLI DICE: IL MARE E’ FATTO DI VINO. LORO SE LO BEVONO!”). L’arroganza, la presunzione, il disprezzo, il cinismo e il falso paternalismo da “esportatori della democrazia e del progresso” con i quali i due italiani si presentano in terra straniera, è a dir poco imbarazzante, e (ci) fa quasi arrossire dalla vergogna. Per Gino però, complice l’incontro con Spiro/Michele, il contrappasso è in agguato: il rampante imprenditore italiano con gli occhiali da sole sperimenta sulla propria pelle tutte le umiliazioni e le difficoltà da cui riteneva di essere meritatamente al riparo, in qualità di rappresentante di un popolo “superiore”. Il viaggio attraverso le zone più impervie e povere dell’Albania -mostrata con uno sguardo a metà strada tra il documentaristico e il visionario- lo porta a vivere la dura realtà quotidiana di un popolo che ne ha passate di tutti i colori e per il quale, intriso com’è della controcultura televisiva italiana più deteriore (si vedono in TV le immagini di “programmi-culto” quali Non è la RAI e OK Il prezzo è giusto), la Terra Promessa è al di là dell’Adriatico. Sempre più in balìa degli eventi, lo sguardo di Gino cambia progressivamente, abbandonando la sicurezza e il disprezzo iniziali per far posto alla paura, alla disperazione e, in ultimo, alla consapevolezza. Il culmine della mortificazione di sé e del suo/nostro Paese lo raggiunge durante l’interrogatorio della polizia albanese, quando cerca maldestramente e disperatamente di giustificare il suo tentativo di corruzione di un funzionario ministeriale. Come? Spiegando al suo interlocutore che nel mondo occidentale la corruzione è una prassi diffusa, utile a snellire la burocrazia e a rendere il sistema più efficiente… Partito in cerca di soldi facili e gloria, convinto della propria impunità, Gino finisce per perdere tutto, compresa la dignità, ed è costretto a rimpatriare proprio insieme a quegli emigranti che tanto disprezza. L’incontro sul barcone con il vecchio Spiro/Michele, che crede di partire per l’America, non è casuale: aiuta Gino (e anche noi) a ricordare che l’Italia è stata -ed è tuttora- terra di emigranti, e che ciò che l’America ha rappresentato in passato per gli italiani, è rappresentato oggi dall’Italia per gli albanesi. Da questo punto di vista, quindi, il film in realtà parla più dell’Italia che dell’Albania, la cui immagine è specchio della nostra. Più in generale, possiamo attribuire a Lamerica una valenza universale: la storia degli emigranti albanesi è la storia di tutti gli emigranti.

Rispetto a Il ladro di bambini Amelio, qui coautore di soggetto e sceneggiatura, lavora ancor più di sottrazione, puntando su una notevole rarefazione ed essenzialità sia nei dialoghi che nelle situazioni, con uno stile che egli stesso ha però definito non neorealista: il film, infatti, è piuttosto incline a una visionarietà poetica e contemplativa, che in alcuni casi sfocia in sequenze fortemente oniriche (come quella, ad esempio, dell’ingresso di Gino in cella, con gli altri prigionieri che lo circondano nella penombra). Grande attenzione per gli splendidi paesaggi aspri e selvaggi dell’Albania, che nella loro muta insensibilità riescono a esprimere meglio di mille parole la durezza della vita per quella gente, cui una Natura “leopardianamente” matrigna non reca certo conforto.

Ottima interpretazione di Enrico Lo Verso che, dopo Il ladro di bambini, trova ancora una volta la parte giusta nel film giusto. Un’autentica rivelazione l’esordiente Carmelo Di Mazzarelli, commovente e tenero nel ruolo del vecchio Spiro/Michele; bravi anche gli attori albanesi, scelti per lo più tra la gente comune.

In concorso a Venezia 1994, Lamerica ha portato a casa soltanto un premio Osella per la regia: un’altra opera che ha arricchito la già nutrita lista dei vincitori mancati…

Il titolo del film richiama il modo in cui gli emigranti italiani pronunciavano il nome della terra dei sogni, ma è anche una citazione della Storia di Elsa Morante, cui Amelio ha voluto rendere omaggio.

Francesco Vignaroli

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