A Verezzi, tocca a Quartullo e Giarrusso. Tante risate a “Cetra… una volta”

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Savona. Al 57° Festival di Borgio Verezzi, sabato 22 e domenica 23 luglio (alle 21.30), si ritorna alle prime nazionali con “28 motivi per innamorarsi” di Jennifer Lane, sotto la regia di Fabrizio Coniglio che cura anche scene, costumi e luci. Sul palco, per un testo mai rappresentato in Italia, Roberta Giarrusso e Pino Quartullo (nella foto). Precisa Coniglio: “Ho molto amato questa storia, che trae spunto da 28 domande, realmente pubblicate sul New York Time da un’equipe di psicoterapeuti, alle cure dei quali si devono sottoporre due persone in fase di separazione. Ho adattato il testo in Italia e i personaggi di Andrea e Ginevra sono due eroi moderni, e combattono contro una crepa che li ha lacerati profondamente”. Entrambi gli attori hanno già recitato sotto le stelle di piazzetta Sant’Agostino. Quartullo ne “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello nel 2018 e in “Hollywood Burger” con Enzo Iachetti nel 2019, Giarrusso sempre nel 2019 nel ruolo di Tuzza per “Liolà” di Pirandello. Spiega il regista che per un’ora e mezza si “offrirà uno spaccato quasi epico di come due essere umani della società contemporanea riescano con ogni energia emotiva a superare una separazione e a ricomporre la propria vita”.

Intanto ricordiamo l’ultimo comicissimo spettacolo in Piazzetta, giovedì 20 luglio, con i Favete Linguis in “Cetra… una volta” di Toni Fornari, regia di Augusto Fornari. Un omaggio ai Cetra (e un ricordo del maestro Dino Verde) ammirando il talento di Stefano Fresi, dello stesso Toni Fornari e di Emanuela Fresi, accompagnati sul palco dalla saxofonista e vocalist Cristiana Polegri. Il terzetto non si risparmia e per un’ora e trenta recita sotto le risate del pubblico, reinterpretando-modificando-attualizzando le parodie e gli sketch del famoso Quartetto Cetra. Non c’è imitazione, piuttosto studio e prosecuzione di un percorso che, nel lontano 1947, vide la formazione definitiva di un gruppo composto da Felice Chiusano, Giovanni “Tata” Giacobetti, Lucia Mannucci e Virgilio Savona.

Sullo schermo si avvicendano tante foto, per una carrellata sulla storia dei Cetra, iniziando da Studio Uno, poi Biblioteca di Studio Uno proprio per il successo della formula della parodia. Fra gli scatti, non manca un’incursione dello scenografo Alessandro Chiti.

Infiammano il pubblico la riproposizione de “Nella vecchia fattoria”, “In un palco della Scala”, “Però mi vuole bene”, ma particolarmente azzeccati sono i momenti lirici. Nelle gag, frecciatine soprattutto al Governo perché, si ricorda, così facevano i Cetra (cioè prendevano di mira chi è al comando), e quindi anche il sindaco Renato Dacquino diventa un bersaglio. Ma ecco anche il ricordo del modo di dire “Il pericolo numero uno: la donna!”, un flash con Lelio Luttazzi (“Vecchia America”) e un aneddoto che ancora commuove Stefano Fresi e che riportiamo.

I Favete Linguis erano a La Chanson, piccolo teatro romano dove – racconta Fresi – “la prima fila del pubblico quasi è contigua al palco. E lì c’erano Lucia Mannucci e Virgilio Savona, che si divertirono moltissimo per lo spettacolo”, parodia sulla parodia. Nei camerini si complimentarono con loro, e Savona si informò sulle difficoltà incontrate nel lavorare al tutto, testi e musica. Quale meraviglia vedersi recapitare, una settimana dopo, i righi musicali originali di Shanghai Lil, accompagnati da un biglietto autografo! In un mondo che tende a essere gelosissimo di ogni cosa, stupenda dimostrazione di generosità e condivisione.

Particolarmente azzeccate la parodia dell’Otello (che meraviglia Iago), sotto il salvagente che se oggi non sarebbe politicamente corretto tratteggiare la pelle del Moro, “così si faceva” ai tempi del Quartetto; la scenetta che vede Cesare e Bruto; le mille proposte al bis de “La vasca” di Alex Britti, con i tre muniti di spazzoloni: così in Vaticano, così con i “Neri per caso”, così in Cina, in napoletano, con i Beatles…

Le scene di Chiti vedono in primis uno schermo e archi laterali con tende che poggiano su pedane, che un po’ ricordano gli elementi metallici di un juke-box e un po’ l’impatto col teatro di rivista di Wanda Osiris, poi evocata; in vista un vecchio grammofono su cui suonerà un disco rotto in bachelite. In particolare sarà proprio il disco rotto, dove la puntina ora s’arresta e ripete la stessa nota, ora scorre veloce e ora lentissima, che offrirà lo spunto per momenti divertenti perché i tre ne assecondano il ritmo. E poi c’è un cane “birichino” (lasciato dai padroni solo in casa e forse spaventato dal frastuono?) che abbaia in sottofondo, incurante di disturbare. Piace sentire che il trio stia al gioco, e dialoghi da lontano simpaticamente con il quadrupede, in questi momenti estivi con tanti abbandoni.

Bravura, talento e, prendiamo a prestito dal direttore artistico Stefano Delfino, “tanto affiatamento”, indispensabile per la miglior riuscita di ogni attimo dello spettacolo. Affiatamento che ha visto perfettamente integrata anche Cristiana Polegri, nel suo ruolo a lato del palco di brava musicista che, per esigenze di copione, esagerava con qualche invadenza.

Laura Sergi

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