Bieito e Chung, doppietta magica per “Carmen”

Data:

Venezia, Teatro La Fenice, dal 24 marzo al 4 aprile 2017

Ebbene, lo confesso. Ci sono spettacoli che, seppur in cartellone da anni al Teatro La Fenice, non ho mai visto. E’ tra questi la “Carmen firmata Calixto Bieito, coprodotta da Liceu di Barcellona, Massimo di Palermo e Regio di Torino, che fin dal 2011 fece gridare allo scandalo le vestali della tradizione. Si sa, il controverso regista spagnolo offre riletture provocatorie, spesso contestate perché infarcite di volgarità apparentemente gratuite. In questo caso, ogni commento purista e moralista è vano perché l’operato trova qui, anche nei dettagli più pruriginosi (e ce ne sono tanti), totale coerenza coi “tra le righe” della novella di Mérimée. Il titolo viene spogliato del folklore per denudarne l’essenziale, l’amore che devia verso la mania e il femminicidio quando incorrisposto. L’azione trasposta in una terra di confine, pattugliata da una guarnigione spagnola assai violenta, intorno agli anni Ottanta del ‘900. Non c’è spazio per l’infanzia bozzettistica, se i gamins diventano fanciulle affamate e complici delle ribalderie delle zingare. Nessun jaleo ma sbronze in compagnia, slip sfilati e amplessi di Carmen sul cofano della macchina, per morire sgozzata sulla scena nuda, fattasi arena di sangue umano. Nella sincera riflessione su autorità, illegalità e socialità portata avanti da Bieito, i protagonisti risentono dell’irruzione nella loro esistenza del sesso, della gelosia e della prevaricazione. Carmen, in cui scalpita il daimon della libertà, è belva alla ricerca costante del coito. Esce, dopo una burrascosa telefonata, da una cabina, attorniata dall’orda dei soldati eccitati che affronta intonando sprezzante la celebre Habanera. Micaëla, non timida paesana ma rivale aggressiva della sigaraia, getta un’ombra di sfida sulla protagonista, mostrando aspetti inediti del suo carattere. Felice il duo Frasquita e Mercédès, eterne baruffanti. Don José rimane il meno approfondito, arduo da smuovere dal ruolo impacciato d’amante omicida. Nella gestione delle masse, infine, Bieito, soprattutto in quel condensato d’arte scenica che è la quadrilla finale, si rifà a certe suggestioni bauschiane di tantztheater, complici i costumi dalle fogge quotidiane di  Mercè Paloma e le luci ambivalenti di Alberto Rodriguez Vega. In questa waste land di disperati, Alfons Florens inserisce palesi omaggi al grande Almodóvar, con quella cabina che tanto sa di Mujeres al borde de un ataque de nervios e quella ronda delle auto presa da Todo sobre mi madre, e a Bigas Luna che fece del toro Osborne feticcio di Jamon, jamon.

Alla direzione Myung-Whun Chung che taglia i recitativi parlati e accompagnati. Se da un lato ciò penalizza in parte i nessi logici tra le scene, dall’altro riduce l’opera, in perfetto parallelismo col palco, a un sintetico continuum musicale da cui i numeri chiusi sbocciano all’improvviso, così come irruenti giungono i momenti più concitati. Chung adotta tempi serrati, ritmiche e dinamiche perfette, in un lieto connubio tra essenzialità e intimismo. L’orchestra veneziana ne segue attenta il gesto pulito, ma aulico, raggiungendo risultati felicissimi.

Ben tre debutti nel secondo cast. Marina Comparato, specialista del repertorio barocco, classico e belcantista, si cimenta per la prima volta nel ruolo eponimo. Ottima attrice, si distingue per sensualità, ardore e canto sincero, forte d’una voce piena, bendisposta nell’estensione e ricca di sfaccettati accenti drammatici. Laura Giordano, sentita lo scorso mese in Bohème, debutta come Micaëla, rivelando una sorprendente predisposizione per il ruolo, capace di conferirgli un solido carattere, così come vuole Bieito, tramite la voce preparata. A Vincenzo Nizzardo, che si confronta primum con Escamillo, va riconosciuto l’impegno a non scadere nello scontato machismo della parte, ma non bastano il timbro scuro e l’estensione omogenea per compensare dizione e fraseggio migliorabili. Lo José di Walter Fraccaro è calante, sempre giocato sul forte, seppur qualche gradevole sfumatura romantica faccia capolino ne La fleur. Claudia Pavone, Frasquita, si distingue, lo si nota nel quintetto del secondo atto, per facilità all’acuto. Corretta Laura Verrecchia, Mercédès. Anche Armando Noguera e Loïc Félix, Dancaïre e Remendado, si rivelano validi interpreti. Mediocri lo Zuniga di Matteo Ferrara e il Moralès di Francesco Salvadori. Cesare Baroni è Lillas Pastia, alter ego registico onnipresente, in panama e completo bianco di gran presenza scenica.

Il coro, preparato da Claudio Marino Moretti, offre prova d’impressionante bravura, grazie alla costante omogeneità e lucidità drammatica. La quadrilla, grazie anche al talento di Bieito, è d’intensità memorabile.

Bravi i Piccoli Cantori veneziani, diretti da Diana D’Alessio, davvero competenti nell’amalgamarsi al coro anche nei passaggi più ardui.

Teatro pienissimo alla recita del 30 marzo e consensi generali da parte del pubblico, con ovazioni per Chung.

Luca Benvenuti

 

Carmen
Opéra-comique in quattro atti
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dalla novella omonima di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Personaggi e interpreti (secondo cast):
Don José: Walter Fraccaro
Escamillo: Vincenzo Nizzardo
Le Dancaïre: Armando Noguera
Le Remendado: Loïc Félix
Moralès: Francesco Salvadori
Zuniga: Matteo Ferrara
Lillas Pastia: Cesare Baroni
Carmen: Marina Comparato
Micaëla: Laura Giordano
Frasquita: Claudia Pavone
Mercédès: Laura Verrecchia
Maestro concertatore e direttore: Myung-Whun Chung
Regia: Calixto Bieito vincitore del Premio Abbiati 2011 per la regia
Scene: Alfons Flores
Costumi: Mercè Paloma
Light designer: Alberto Rodriguez Vega
Crediti foto Michele Crosera
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti
Piccoli Cantori Veneziani
Maestro del Coro: Diana D’Alessio
Coproduzione Gran Teatre del Liceu di Barcellona, Fondazione Teatro Massimo di Palermo, Fondazione Teatro Regio di Torino e Fondazione Teatro La Fenice di Venezia

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