“La protesta”, paradossale e grottesca ribellione d’una anziana

Data:

Al Teatro Manzoni di Roma, fino all’11 giugno 2017

Gli argomenti sociologici più discussi in questo periodo, accanto allo sviluppo tecnologico ed alle start-up create dalla fervida mentalità imprenditrice dei giovani,sono la famiglia ed il lavoro. La prima è la cellula fondamentale e costitutiva della comunità e la sua diffusa crisi che spesso provoca lo scadimento e perdita dei valori, se non casi di inaudita violenza ed efferati omicidi, per il secondo rimane alto il livello di disoccupazione, specie in coloro che sono in cerca di lavoro per la prima volta o di coloro che vorrebbero ritrovarlo dopo averlo perso per fallimenti aziendali. Di queste tematiche s’occupa ormai da tempo la scrittrice Roberta Skirl con copioni teatrali in chiaroscuro, con toni agrodolci derivanti da battute e dialoghi umoristici e sarcastici su scottanti ed amare questioni di fondo. Ricordiamo alcune sue ultime commedie che abbiamo visto con vivo interesse: “Questi figli amatissimi” sulla tendenza dei ragazzi a restare in famiglia o rientrarvi dopo le prime delusioni esistenziali ed oggi pare che siano circa sette milioni fino ai trent’anni passati; “La notte della Tosca” sul precariato e la perdita del posto di lavoro nel privato. In “La protesta” un’ormai anziana madre di famiglia di nome Elsa, interpretata in maniera verosimile da una non più florida Lorenza Guerrieri, per dare un calcio al dolore ed alla sfortuna, sotto forma dell’abbandono da parte del marito per una più giovane e briosa Silvana e della scomparsa dell’amica del cuore Tilde, si è barricata nell’armadio contro la “dama nera” identificata appunto con l’odiata Silvana.A nulla servono gli sforzi dei figli per farla ragionare sulla vanità del suo atteggiamento, mentre loro ne approfittano per contrapporsi i diversi punti di vista, umori, caratteri e realizzazioni o fallimenti esistenziali. I due simboli eclatanti di ciò sono Vittorio incarnato in modo spiritoso ed orgoglioso, impettito, da Antonio Conte, che ha sposato l’inadeguata Elena che ha l’unico merito di essere la ricca erede di un facoltoso commerciante del centro storico, ma che lo tiene sempre al cellulare non sapendo far nulla. Sergio il cognato invece,reso da Berto Gavioli con timidezza  suscettibile di scatti d’ira non è riuscito a farne bene una e non tiene conto dei giorni,ma proprio per tale sua fragilità psicologica è amato da Paola,una straordinaria Gabriella Silvestri, oltre le apparenze.Il secondo fratello Carlo, nei cui panni si destreggia Paolo Gatti con classe distaccata dalle velenose diatribe, nasconde un imminente separazione da Claudia per coltivare un nuovo sentimento per Silvana che tuttavia dovrà esplicitare con i figli,non usandoli per il suo tornaconto, come aveva fatto il padre con loro,in base all’ammonizione didascalica del fratello.In tanta costernazione e puntigliosa polemica familiare interviene il parroco Don Eusebio, appena tornato dall’Egitto ed in vena di curiose esternazioni in francese e latino per spirito d’esibizionismo accentratore,a portare pace e serenità, fede nel premio eterno, sì da spingere Elsa a voler anticipare la fine,rassicurata dal latente affetto dei figli per raggiungere Tilde. Pure Don Eusebio, un esilarante e comicissimo Enzo Casertano dall’estroversa ed istintiva simpatia, piange una Silvana, ma quale? Il più savio ed intraprendente sembra il nipote film-maker che ha registrato un documentario con la loro palesata falsa etica ed ipocrisia dialettica, atteggiamenti posturali,decidendo di lasciare la noiosa ed antipatica facoltà di giurisprudenza per seguire la passionale strada del cinema. Davvero bravo Morachioli nonostante qualche eccessiva leziosità di maniera,ben diretto come l’intero cast di gruppo in un interno dalla regista Maria Cristina Gionta,avvalsasi talora della preziosa esperienza di Silvio Giordani. Sarà in cartellone al Teatro Manzoni fino all’11/06.

Susanna Donatelli

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