“Io, Moby Dick”. L’ossessione furiosa come risposta alla frustrata ricerca di un senso della vita

Data:

Al Teatro Litta di Milano, fino al 17 giugno 2017

Nuovamente solo in scena, Corrado d’Elia, per Io, Moby Dick, al Teatro Litta di Milano dal 5 al 17 giugno. Sulla tolda di una nave, forse al timone. Al centro di otto cannocchiali, tutti rivolti a raggiera verso l’esterno, espressione icastica della vana ricerca di un segno, di un senso, di una risposta.

Lo spettacolo scorre come la navigazione di una nave attraverso più di 20 quadri, bozzetti liberamente ispirati al Moby Dick di Herman Melville in una rivisitazione della celeberrima ossessione del capitano Achab nei confronti della gigantesca balena che anni prima l’aveva mutilato. Motivazione cieca e irragionevole. Sorda alle richieste di aiuto di un capitano che ha smarrito il figlio in mare. Disinteressata alle ragioni economiche che detterebbero di sostare per redditizie cacce ad altre balene. Tetragona alla necessità di “perdite di tempo” per le riparazioni necessarie a non perdere il prezioso carico acquisito.

E’ solo in scena, Corrado d’Elia, ma è come sempre nei suoi spettacoli coadiuvato dal respiro di una musica potente e coinvolgente, riarrangiamento di brani di un compositore del 500, Giulio Caccini, che raccorda un quadro con l’altro; sottolinea, enfatizza, colora.
Cambia voce e postura, Corrado, e caratterizza i personaggi attorno al capitano, di quest’ultimo rappresentando la lucida e inesauribile follia ossessiva.

E’ un’ossessione di vendetta che cela un profondo senso di vuoto e di mancanza di senso. Achab “non sa più essere felice, dannato in questo paradiso”. “Ogni giorno all’uomo viene ricordato che non è nulla, perché Dio tiene tutta la verità per se”. “O cieli incomprensibili, che ci faccio io qui ?”
E’ un vuoto esistenziale che vanamente Achab cerca di colmare con affermazioni di orgoglio, per essere sopravvissuto ed essere ancora in lotta. E’ una perdita di senso, al cospetto di “un Dio spietato, tiranno che mi comanda e mi fa fare cose che non avrei immaginato”.

Da questa frustrazione senza sollievo nasce l’odio inestinguibile per la balena Leviatano, regina dei mari, ma in senso non certo naturalistico e rispettoso (Achab, del resto, caccia da 40 anni balene, ai tempi formidabili fonti di profitto e non certo come oggi specie da preservare). “Tu hai visto tutto, mostro, eppure mi guardi e non dici una parola”.

Quando infine Achab si inabissa, avviluppato a Moby Dick dalle corde delle fiocine, ha la consapevolezza di essere cosa unica con il Leviatano, “insieme in eterno e nulla più rimane”.

Non è tuttavia pensiero che pacifica. Ma epilogo in tragedia.

Guido Buttarelli

 

liberamente ispirato a “Moby Dick” di Herman Melville
progetto e regia Corrado d’Elia con Corrado d’Elia
assistente alla regia Federica D’Angelo
ideazione scenica e grafica Chiara Salvucci
luci Marco Meola
audio Gabriele Copes
foto di scena Angelo Redaelli
collaborazione alle ricerche bibliografiche Alessandro Sgamma
produzione Compagnia  Corrado d’Elia

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