Sarà che la sua terra d’origine è la stessa che diene i natali a Totò, De Filippo e Troisi, per fare tre nomi non proprio qualunque. Insomma, fra Napoli e il teatro, il rapporto è sempre stato simbiotico. E chi nasce all’ombra del Maschio Angioino, forse ha davvero qualche carta in più da giocarsi quando sale sul palco e per mestiere deve catturare l’attenzione della gente. Ne sa qualcosa Francesca Stizzo, ormai da anni teatrante per professione, un curriculum che pare non finire mai e il grande sogno di sbarcare negli States. Per ora, però, questo patrimonio tutto italiano, continua ad incantare le platee del Belpaese. Lei, 31 anni portati magnificamente, il teatro lo ha incontrato quasi per caso in una colonia estiva. Il caso ha voluto che si scontrasse con questo mondo e da allora non lo abbandonasse più. Che Francesca fosse una ragazza con tante idee in testa lo si era capito fin da bambina, quando sognava di creare un grande spazio in cui aiutare barboni, immigrati, persone in difficoltà. Sul palco invece ha saputo portare tutta se stessa, le contraddizioni della modernità ed i sogni di chi non vuole arrendersi. Emozioni vere che incantano chi la guarda, chi ne segue le movenze, che lasciano senza stucco per quel modo così vero e naturale di interpretare i personaggi. “Quello che provi portando sul palco una persona, poi ti resta dentro per sempre” confessa candidamente. Fra lei e il teatro è amore vero, un rapporto in cui il sacrificio la fa quasi sempre da padrone assoluto: “D’inverno fa freddo, d’estate fa caldo – racconta – ore ed ore di prove per affinare un dettaglio”. Ma, nonostante questo, Francesca va avanti. E agli italiani lancia un messaggio sincero: quello di credere nel teatro, forma d’arte espressiva.
Partiamo dall’inizio: avevi 16 anni, eri in colonia ad Ischia e…
I nostri animatori ci divisero in gruppi per farci fare delle attività. Io finii in quello di teatro, dove mi ritrovai emozionata a tal punto da non riuscire a recitare. Nello spettacolo finale dovetti addirittura leggere la poesia assegnata, “‘A livella” di Totò. Non riuscivo a pronunciarla, un black out, ma volevo a tutti i costi riuscirci, per cui mi ripromisi di studiare recitazione.
A quel punto, la strada era segnata.
Io studiavo danza, a 17 anni presi il diploma e mi buttai nel teatro. Il primo laboratorio lo feci con il maestro Pierpaolo Sepe, fondamentale per imparare il significato di recitazione naturale, dell’essere se stessi e del donarsi al teatro in ogni sua interpretazione.
La formazione assume un ruolo fondamentale.
Sì, posso dirlo forte. Ho vinto una borsa di studio per frequentare la scuola di Augusto Zucchi, in questo caso l’impostazione recitativa naturale ha segnato il mio percorso recitativo in modo indelebile. Finchè è arrivato anche il workshop sul metodo Chubbuck condotto da Patrizia de Santis, un altro passo essenziale per entrare nel mondo della recitazione con idee chiare e preparazione ottimale.
Il tuo primo spettacolo arriva nel 2010: reciti più di una parte in “Assunta Spina” di S. Di Giacomo, regia Michele Del Grosso.
Sì, il primo di tante straordinarie esperienze. Mi piace ricordarne alcune che mi hanno segnato in modo particolare. Dal 2014 al 2016 sono stata in scena con “Silvia e i suoi colori” di R. Russo, regia Agostino Chiummariello, in questi ultimi mesi sto avendo l’onore di girare i teatri con “Un giorno all’improvviso” scritto e diretto da E. Cocciardo, il 26 agosto saremo in una magnifica location per il “Benevento Città Spettacolo”. Non vedo l’ora.
Cosa ti ha dato il teatro?
Mi ha fatto conoscere me stessa, i diversi punti di vista e gli altri, in modo assai migliore e maggiore di quanto non facessi prima. E, inevitabilmente, di un personaggio che interpreti porti poi dentro le sue esperienze e il suo modo di intendere la vita. Vedi la realtà con prospettive diverse e sempre nuove, ti ritrovi a vederti più debole dove pensavi di essere forte e più forte dove pensavi di essere debole. È uno stravolgimento totale. E, infine, ogni spettacolo ti dà un’energia, una carica e un amore che ti spinge a dare sempre di più.
Al contrario, il teatro ti ha tolto qualcosa?
No, per me il teatro è l’amore. Più dono al teatro più il teatro mi ripaga. Forse ripaga non è il termine esatto. Mi regala ogni sera qualcosa di positivo e/o di negativo. In entrambi i casi mi invita a crescere.
Il teatro era nel tuo destino?
Me lo chiedono in tanti, rispondo sempre allo stesso modo: perché hai scelto tuo marito o tua moglie? Semplicemente, era nel mio inconscio e io so di amare profondamente il teatro.
Nel 2012 hai ricevuto il Primo Premio Teatrale Franco Angrisano per Prova d’Attore, con “Il cranio della sirena” di Anita Laudando.
È un riconoscimento importante, mi ha fatto piacere. Ma io volo bassa, ricordo ciò che mi disse la mia insegnante di fonetica, l’attrice Gaia Riposati: gli attori salgono sul palco perché hanno qualcosa da dire. Ecco, è importante che sia sempre così.
E tu… cosa vorresti dire?
Spesso mi sento una bambina chiusa in una stanza, urlo, piango e nessuno mi ascolta. Ecco vorrei si desse più spazio alla voce dei bambini. Ascoltare la loro verità. Loro sono puri, non possegono alcuna sovrastruttura.
Com’è la situazione del teatro, oggi, in Italia?
C’è paura di mettersi in gioco, nessuno ha più voglia di rischiare e fallire. Non si aiutano i giovani progetti e nuovi talenti. Non si crea nulla di nuovo, di originale o almeno che si adegui ai nostri tempi. Noto egoismo, invidia, vanità. Si è creata una situazione di stallo e di noia. Ovviamente parlo dei grandi teatri, perché se si gira tra i teatri off c’è sempre qualcosa di innovativo da ammirare. Infine, io non mollo e non sono sola.
Il tuo messaggio è: rischiate, il teatro in un modo o nell’altro vi ripagherà.
Direi proprio di sì, di non accontentarsi dell’amicizia influente per fare strada, ma di faticare e creare qualcosa di originale e inedito. Il pubblico apprezza sempre.
Fuori dal palco, che donna sei?
Istintiva, solare, anticonformista. Col pregio di essere gentile e col difetto di non volermi ancora così bene come dovrei.
Che personaggio ti piacerebbe incarnare sul palco?
Medea, con tutte le sue contraddizioni. Ma mi ha segnato molto il ruolo di Silvia Ruotolo, vittima innocente di camorra.
Il teatro aiuta a crescere?
Senza dubbio, non c’è nemmeno da porsi la domanda. Si vede la realtà da infinite prospettive, si suda per rendere naturale il vissuto di un’altra persona. Il teatro forgia personalità vere.
Se tu non fossi stata attrice di teatro?
Avrei seguito un percorso scientifico: mi piaceva la matematica, forse avrei studiato ingegneria.
Hai un rammarico?
Quello di non aver creduto prima in me stessa.
Hai un sogno lavorativo?
Sì, l’America. Mi piacerebbe lavorare con attori americani, giocarmi le mie carte negli States. Chissà se succederà.
Una strada che dal teatro potrebbe spingerti verso il piccolo o il grande schermo.
Mi sono avvicinata al cinema e alla tv in più di un’occasione, nel 2012 sono stata la protagonista del cortometraggio “Incanto vivo” di Luca Mazzara, nel ruolo di Elena. La tv mi piacerebbe, vorrei sperimentarla. E poi il mio obiettivo è quello di arrivare a tante persone, emozionarmi per emozionare nel bene e nel male. E la tv potrebbe davvero essere il medium giusto…
Luca Fina
CREDITS FOTOGRAFICI
Ph Pino Finizio
Ph Adolfo Barbatelli