Mercoledì 27 settembre 2017 all’Opera di Firenze – Teatro del Maggio Fiorentino, in occasione della rassegna Passione Puccini
La Bohème di Giacomo Puccini non è solo un’opera sull’amore, ma anche sull’amicizia, espressa in questi quattro quadri dal legame che unisce il poeta Rodolfo, l’artista Marcello, il filosofo Colline e il musicista Schaunard; legame che non sarà mai intaccato da nessuna macchia nel corso dell’intera composizione. È chiaro che la vicenda tra Mimì e Rodolfo resti centrale, ma non sempre viene ricordata anche la tematica della quale ho parlato, messa in ombra dai protagonisti principali della vicenda.
È stata certamente una Bohème riuscita quella vista ieri all’Opera di Firenze con la regia di Bruno Ravella, contraddistinta da un allestimento scenico variegato e ben interpretata da cantanti e musicisti.
Andando per ordine, come accennato, si constata una grande attenzione per le scene, che Tiziano Santi ha scelto con minuzia quadro per quadro. Si passa dalla casa “spaziale” – per la forma e per la sua onirica distribuzione sull’ambiente invernale – dei quattro amici, dove avviene l’innamoramento tra Mimì e Rodolfo, al locale parigino – il Caffè Momus – del Quartiere Latino del secondo quadro, dove si manifesta una emblematica prova di regia nella gestione di un numeroso gruppo di personaggi, che danno vita alla fragorosa scena di massa della Vigilia di Natale, dove saltano all’occhio i piacevoli costumi di Angela Giulio Toso – in linea con il tempo storico voluto dal libretto -, che ha scelto delle cromie multicolori che si adattano perfettamente l’una con l’altra. Nel terzo quadro troviamo un esterno gelido e innevato, ambiente della discussione che porterà alla separazione tra i due giovani. Infine, nell’ultima parte, si ritorna alla casa del primo quadro, circondata stavolta da luce e fiori, perché è giunta la primavera.
È in questo contesto che si muovono i cantanti: Marcello, Colline e Schaunard, tutti valenti nei loro ruoli, sia dal punto di vista vocale che attoriale, anche in quelle scene clownesche, nel momento in cui sono chiamati allo scherzo e al gioco, in cui esprimono la loro vena comica e istrionica. La Musetta Angela Nisi è uno spirito libero, non vuole legami e non può durare il suo fidanzamento con il pittore Marcello, se ella stessa dice di voler essere libera di “far l’amore con chi vuole”. È civetta, un po’ frivola, ma nel momento del bisogno si dimostra fedele amica di Mimì – torna ancora così il tema dell’amicizia -, offrendole il manicotto che l’ammalata chiede sul finale. La Nisi è dinamica e brillante sul palco, sapendo anche essere drammatica quando è necessario: brava cantante, ma anche brava attrice. Maria Mudryak (Mimì) e Matteo Lippi (Rodolfo) dimostrano il loro valore fin dall’ingresso in scena, emozionandoci e facendoci commuovere con le celebri “Che gelida manina” e con “Sì, mi chiamano Mimì”, dove emergono i temperamenti della soprano e del tenore, che dimostrano tra di loro un’ottima empatia artistica. Maria Mudryac rappresenta con delicatezza una figura pura, fragile, sensibile qual è la protagonista, tratteggiandola con la sua voce squisita e morbida e con la sua abilità teatrale e interpretativa, dimostrando di sapersi calare nella parte, immedesimandosi appieno – la dizione non è perfetta, ma questa lacuna le viene perdonata grazie alle altre doti che ha messo in mostra. Matteo Lippi è il Rodolfo innamorato e intimorito, perché consapevole che la donna che ama si avvicina pian piano alla morte. Il suo canto è entusiastico all’inizio e si va scurendo nel corso dell’opera: è una discesa verso il tragico finale. La voce del tenore è sicura e lirica, toccandoci con il suo impatto viscerale. Non si è assistito a uno squilibrio tra i due protagonisti, collegati, come già detto, da un ottimo feeling che dalla parte del pubblico si è percepito e che ha permesso di rendere ancora più affiatata la coppia.
Eccellente la prova di Francesco Ivan Ciampa alla guida dell’Orchestra, Coro e Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino. La sua bacchetta accompagna bene le voci dei cantanti, abile nel gestire anche quegli sbalzi musicali voluti da Puccini, tramite quegli inserimenti comici, divertenti, improvvisi, che aiutano a smorzare il clima funesto della vicenda.
La regia di Bruno Ravella, infine, è organica e dinamica. Il suo valore si percepisce in particolar modo nella scena del secondo quadro, ambientata al Caffè Momus, dove il regista si è trovato a gestire un coro, un coro di voci bianche, più altre numerose comparse. Una scena spettacolare, che da sempre attira attenzione e curiosità, per vedere come venga diretta. Ravella sicuramente l’ha condotta bene, come del resto ha fatto bene per il complesso del melodramma, giustamente fortemente applaudito dagli astanti.
Stefano Duranti Poccetti