Al Teatro Argot di Roma, dal 4 ottobre 2017
Dall’Alto di una Fredda Torre è il secondo capitolo della Trilogia di Mezzanotte, preceduto da Prima di Andar Via, il progetto di Francesco Frangipane e Filippo Gili, inaugurato al Teatro dell’Orologio.
La vita è quella frazione di tempo che va dal primo respiro all’ultimo: la vita è tempo? Gili e Frangipane ragionano su questo, o meglio pongono allo spettatore delle situazioni al limite nelle quali è proprio il tempo a fare da padrone.
Il valore della vita moderna è incatenato alle lancette che scorrono, è una continua corsa e intanto la vita procede, ma come si può sfuggire a questa logica? La domanda viene restituita allo spettatore, perché la messa in scena non vuole trovare soluzioni, ma mostrare la realtà sotto un’altra ottica. Si concentra sulle emozioni, scavando nella logica, ponendo una scelta minuziosa ai cui estremi c’è la vita e la morte; di mezzo invece è il modo in cui si vive, il valore stesso della vita.
La storia si costituisce in quattordici quadri con sei personaggi, divisa in tre scene: il salotto, la tavola da pranzo e lo studio medico.
I personaggi scorrono da un quadro all’altro quando la luce va via e la platea, tutta intorno alla scena, deve unire i tasselli, mettendosi nei panni dell’uno e dell’altro, cercando la verità.
Una famiglia è riunita a mangiare, due figli adulti e due genitori, chiacchierano amabilmente, una quotidianità che viene presto spezzata. Tanto è forte il loro legame, divertente la loro caratterizzazione, naturale e camaleontica, quanto la tragedia spezza i fiati, grida all’ingiustizia.
Entrambi i genitori sono malati di una malattia rarissima e spetta ai figli scegliere se comunicarlo e soprattutto se salvarli. La contingenza impedisce di curarli entrambi, così bisogna scegliere chi far vivere e chi morire.
Elena e Francesco si trovano all’improvviso in un incubo. La pièce si apre con Elena che ipotizza l’entrata in cucina di un ladro che vuole uccidere lei o il fratello e che devono essere i genitori a scegliere. Un gioco, che mette in difficoltà i due anziani, perché è innaturale preferire un figlio a un altro. Questo gioco all’inverso diventa realtà inenarrabile.
Quale logica usare, quale strumento può risolvere l’enigma? Tutta la responsabilità grava sulle loro coscienze, annichilendoli, svilendo i nervi e rendendoli fuori di sé, rischiando di intaccare quel bel rapporto d’amore familiare che abbiamo visto poc’anzi.
La vera questione poi è chi salvare o chi uccidere? E se non si scegli si perdono entrambi e poi quali sono le conseguenze?
Intanto il suono di una goccia continua a battere: è il tempo che non dà tregua a nessuno, perché il paziente deve essere operato entro tre giorni.
Lo scontro tra la ragione della medicina e l’affettività dei figli è feroce, in queste questione vince l’oggettività o la soggettività?
Non c’è spettatore che può alienarsi, tutti abbiamo dei genitori, tutti siamo figli e quando le parti si ribaltano, quando sono i figli a dover prendersi cura dei genitori, a scegliere per loro, il mondo pare capovolto.
Inoltre è giusto scegliere per un altro? Quando il libero arbitrio smette di rivendicare il proprio diritto?
La cosa giusta infondo non esiste, ognuno ha le proprie motivazione, il proprio vissuto che lo induce a varcare una porta, piuttosto che un’altra.
Non è forse la famiglia un emblema della società? Allora ecco che le emozioni che suscitano questi poveri personaggi contraggono ancora di più il cuore. Si pensa all’eutanasia, si pensa alle nazioni che vietano dei comportamenti alle altre, oppure che non intervengono davanti le ingiustizie; si pensa alla religione che obbliga, alla scienza che offre la sua verità. All’essere umano che non riuscirà mai a comprendere questo mondo fino infondo e l’unica cosa di cui può essere certo è ciò che prova, all’onestà delle sue intenzioni, all’amore che può dimostrare, che la sua scelta sia giusta o meno.
Un’emozionante tragedia, con degli interpreti che rivivono in quel momento e vederli è spiare dal buco di una serratura. Il pubblico è così vicino che sente il loro respiro e si torna a casa come se quella storia la si è vissuta in prima persona.
Si torna però senza risposte, ma con un gran bisogno di iniziare a trovarle intorno al proprio tavolo da pranzo.
Federica Guzzon